storia

Lo spirito Prussiano

A volte si afferma, “Lavorate per il re di Prussia!” Per dire che si favorisce il nemico.    Ad un prof cattivo gli studenti dicono sempre, “È un prussiano!” Oggi i figli replicano ai genitori, “Questa casa è una caserma prussiana!”  Nella quotidianità l’aggettivo prussiano risulta  sfavorevolissimo. La storia tuttavia è più ampia. Fortunatamente. Tutto ciò che è definito prussiano non può essere inteso solo come militaresco. L’anima prussiana ha una complessità. Ha una ricca vicenda storica  che intercettò pure le libertà illuministiche. Perché, mentre nell’Europa settecentesca la giustizia era scellerata, nella terra prussiana invece la legge era una certezza, i profughi ugonotti venivano accolti e assistiti, il sistema fiscale tentava di essere il più moderno.

Alcuni docenti dicevano che la Prussia fu un esercito con uno Stato, non uno Stato con un esercito. Ma le società andrebbero interpretate interamente. Andrebbe approfondito il tutto con il libro di Hans Joachim Schoeps, ‘Lo spirito prussiano’, pubblicato dalla Oaks editrice. Questo testo del 1964 schiude un’antologia di punti di vista, di citazioni, di esperienze che, per un bilancio storico, dicono come l’anima prussiana non è  “un appiattimento sui valori ‘da caserma’ o una esaltazione della brutalità primitiva.”

Per un primo atavico campione della moralità prussiana, ecco la lettera di un principe elettore Johan Cicero (1486-1499). Ecco emergere il principe che curava le sue proprietà così come provvedeva ai poveri del paese, “Prendi sotto la tua protezione i poveri. Non potrai consolidare meglio il tuo trono di principe che se aiuterai  gli oppressi, se baderai a che i ricchi non sopraffacino gli umili,..” Viaggiando tra i documenti di Schoeps, troviamo l’idea della difesa dei bisognosi, il richiamo ad un originario welfare state, come nella frase di Hans von Seeckt, “La Prussia è stata  uno Stato sociale nel senso migliore del termine. L’assistenza sociale consiste anzitutto nel dare ad ognuno la possibilità di lavorare, di conservare e impiegare le proprie forze,..”

Insomma, una questione di stile sociale. Remoto stile prussiano. O meglio c’era un popolo da sostenere, ciò rappresentava il dovere primario dello Stato. Si comprende di più sfogliando il primo capitolo “Lo stato prussiano e la sua etica” in cui la parola dovere riecheggia in diverse accezioni.  Per secoli i prussiani discussero del tempo dei  doveri che, attenzione, coincideva con la dignità umana. Proprio l’idea del dovere è commentata da Giovanni Sessa, che, nell’introduzione, scrive, “Tale esaltazione della religione dei doveri è ben sintetizzata  su una lapide sepolcrale   della Marca di Brandeburgo: ‘Preferì cadere in disgrazia  quando l’obbedienza non fu più compatibile con l’onore’, il dovere per il dovere, senza alcun riferimento all’utile, senza occhieggiare il profitto, questa è la nobiltà!” E l’elaborazione critica di tale frase spinge a riflettere sulla civiltà del  dovere in un  presente condizionato dai diritti per convenienza di cui le bocche sono piene.

La silloge di Schoeps sa tenere alto  l’interesse del lettore proponendo aneddoti, versi, canzoni di quella terra europea. Vi sono rarità letterarie ritrovate che possono entusiasmare lo studioso di storia della guerra. Versi scritti di sergenti audaci. Parole lanciate nella battaglia e trascritte sui taccuini bruciati dallo zolfo. Come queste, “La palla del moschetto fa un buchetto / La palla del cannone ne fa uno assai più grosso / le palle son fatte  tutte di ferro e piombo / E a qualcuno le palle passano vicino.”

Ritornano le memorie leggendarie imparate a scuola: i fucilieri di Forcadè, la cavalleria prussiana nella battaglia di Jena, poi Clausewitz, von Molthe, von Schlieffen, i generali delle grandi strategie, delle grandi sconfitte, dei destini militari incrociati, delle frasi famose sul letto di morte, “Rinforzate l’ala destra!” Vittorie, sconfitte, uomini che, grazie a Schoeps, scoviamo sinceri. Come in questa citazione del generale von Schlieffen,“Fare molto, non emergere, tenere più ad essere che a sembrare.”

Le parole di von Schlieffen o di von Clausewitz  utilizzate nei manuali di management dei nostri giorni. La ricerca affannosa della felicità di Heinrich von Kleist: al poeta Kleist ogni anno è intitolato il famoso premio per la letteratura tedesca. La Croce di Ferro di Prussia oggi sui mezzi dell’aviazione tedesca, un simbolo mai nato nazional-socialista. In nuce, questo e altro rappresentano la Kultur prussiana da cui trarre considerazioni, per allontanarsi  dalle superficialità di certa storiografia contemporanea che attribuisce, all’esemplarità di una terra, solo significati oscurantisti.

Ora il lettore può incontrare una Prussia cristiana e tradizionalistica che seppe gestire  lo Stato con saggezza; concesse la Costituzione ai suoi sudditi nel 1848; ed ebbe la drammatica speranza di abbattere la tirannide il 20 luglio 1944, quando  i suoi figli tentarono di uccidere Hitler, con “un ultimo puro riflesso dell’antica severa idea prussiana intesa in termini etici.” Nel  capitolo XV, con differenti testimonianze, emerge l’idea di una terra anti-nazista. Julius Evola non era d’accordo perché ricordava che l’aristocrazia prussiana sostenne il nazismo con von Hindenburg. Per tutto ciò, quindi,  la lettura dell’antologia di Schoeps può mettere il lettore nelle condizioni di farsi una sua idea, leggendo questi pensieri dedicati ad una civiltà europea.

Hans Joachim Schoeps, ‘Lo spirito prussiano’ Traduzione di Julius Evola, Oaks editrice, pagg. 270, euro 18.00 – ordinabile  su:  info@oakseditrice.it