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Benedet d’al marcà

Due parole di introduzione: l’articolo proviene dall’archivio di bondeno.com ed è stato scritto da un emigrato di Bondeno che da più di vent’anni risiede e lavora negli USA come docente di italiano all’università.

Oggi, 11 settembre 2007, resto in casa e tengo spenta la radio. Non mi importa se New York è più o meno sicura di sei anni fa dagli attacchi aerei perché so che tra gli otto milioni di persone dell’isola di Manhattan è fin troppo facile imboscarsi per chiunque, terrorista o meno. Apro un vecchio numero del New Yorker e trovo altre preoccupazioni: un economista sostiene che la democrazia è da abolire.
Bryan Caplan insegna alla George Mason University e ha appena pubblicato il libro “The Myth of thè Rational Voter: Why Democracies Choose Bad Politics” (Princeton University Press). Secondo Caplan, gli elettori sono un gregge di pecore che vota senza razionalità, a seconda dei tanti preconcetti dominanti e in chiaro contrasto con la competenza di chi invece dovrebbe prendere le decisioni fondamentali, cioè gli economisti. Per esempio, per la gente comune il prezzo della benzina è troppo caro, mentre per gli economisti può andare. Oppure, per la gente comune i salari degli impieghi creati di recente negli Stati Uniti per ovviare alla disoccupazione sono bassi, per gli economisti, invece, possono andare (se l’offerta supera la domanda, i prezzi si abbassano). Se per la gente comune i salari dei grandi dirigenti finanziari sono scandalosamente alti, per gli economisti van bene così (ci mancherebbe altro: sono i loro compagni di scuola…).
Il punto di Caplan è che nessuno ragiona veramente come un economista: nessuno, votando, pensa solo al proprio interesse e basta, come è giusto e doveroso in un’economia di mercato, dove il vantaggio del singolo diventa a lungo andare il vantaggio di tutti. Questa è la vera razionalità; perciò bisognerebbe insegnare
più economia nelle scuole e meno letteratura. E una grande scoperta, per rne, sapere che dare un calcio nel culo a chi si sa che non può restituirtelo (delizioso e razionalissimo Leonardino in terza elementare!), rubare un’automobile solo perché non è chiusa a chiave o non ha l’antifurto, ammazzare qualcuno per pigliarsi i suoi averi se si riesce a far sparire il cadavere e a restare impuniti non solo è sommamente razionale (lo dicono gli economisti), ma addirittura utile alla comunità, visto che il vantaggio del singolo ricade sempre come effetto su tutti. E infatti sarebbe ora di premiare la Camorra per l’indotto economico che produce e senza il quale il nostro paese probabilmente non sopravviverebbe.
Qualche anno fa un professore di teologia della Harvard Divinity School osservava che, leggendo il Financial Times, gli bastava sostituire “Market” con “God” per ottenere qualcosa di simile a San Tommaso. Il Mercato vede e provvede, per le sue vie oscure, al benessere di tutti, ma soprattutto di chi segue le sue leggi, osserva i suoi comandamenti e medita la sua parola di giorno e di notte, perché egli è via, verità e vita. Pochi giorni fa m’è capitato di prendere il caffè assieme a due economisti che avevano voglia di parlare italiano: un israeliano in carriera e un indiano molto famoso. In poco tempo attorno all’indiano si fece un crocchio di francesi, svizzeri, tedeschi, danesi e altro. Poi passò un giovane italo-tedesco, che entrò in fretta e furia (è al mio livello di carriera, ma prende il doppio di me); poi si misero a sparlare di un catalano. Mi sembrava di essere nell’abbazia del Nome della Rosa, col capitale al posto di Dio, naturalmente, e l’inglese al posto del latino. Loro decidevano i destini del mondo e io ero il povero maestrino d’italiano incompetente, a cui al massimo toccava di votare per i soliti quattro fantocci che alla fine, da destra o a sinistra, si fanno assistere e si rivolgono… agli economisti!
La Chiesa non è un’istituzione democratica. Dio ha detto a Pietro che era pietra e su quella pietra si sarebbe fondata la Chiesa; non ha chiesto ai fedeli di eleggere la loro guida. Perché dovrebbe esserlo il Mercato, che della Chiesa ha preso il posto? Perché non dovrebbe privilegiare chi tutti i giorni medita e riflette sul suo andamento e si comporta come razionalmente si dovrebbe comportare, cioè inseguendo il proprio interesse e basta (contribuendo così all’interesse generale)? A New York lo sanno anche i preti cattolici. Nel suo “Diario americano” (Boringhieri), Giulio Sapelli dice che a messa, a New York, si trova gente di ogni condizione sociale: dallo spazzino irlandese o italiano (quelli che cantano il mattino) alla lavandaia messicana al giovane in carriera a Wall Street. Mentre celebra, il sacerdote è teso e cupo perché invoca un unico destino e un unico padre celeste: di fronte a Dio siamo tutti uguali. Ma finita la messa (in scena), ecco che il prete va alla porta e saluta i fedeli che escono. Ed è nel saluto finale del prete che si vede chiaramente chi appartiene all’inferno della povertà, chi al purgatorio del lavoro sottopagato e chi è invece Benedetto dal Mercato.

Andrea Malaguti

Nota: oltre a quello di Caplan qui è citato anche un libro di Giulio Sapelli di cui si è fatto il nome come possibile presidente del consiglio durante le trattative per il nuovo governo M5S-Lega.