lavoro

Il lavoro

Nel lontano 2005 scrivevamo su bondeno.com:
1° maggio, per quale lavoro?
Data: Mercoledì, 27 aprile 2005 alle 01:00:00 CEST
Argomento: Lavoro
Mi sembra che ultimamente il tam tam mediatico ci sposti da ricorrenza a ricorrenza senza mai interrogarsi se queste abbiano ancora un senso, oppure se il significato originario si sia nel frattempo perduto o sia profondamente cambiato. Proviamo a domandarcelo nel caso del lavoro con la scorta di tre saggi di Luciano Gallino.
:
1) Se tre milioni vi sembran pochi. Sui modi per combattere la disoccupazione (euro 14);
2) La scomparsa dell’Italia industriale (euro 10,20);
3) II costo umano della flessibilità (non più disponibile).
Proviamo a riassumere le idee portanti di questi libri, ovviamente senza nessuna pretesa di essere esaustivi, ma semplicemente per fornire uno stimolo alla loro lettura o semplicemente al ripensamento di alcune false convinzioni del tipo:
è una fase transitoria, nasceranno nuovi posti di lavoro,
ci penserà il terziario,
il futuro è nel lavoratore atipico e flessibile, colpa dello stato sociale ecc.
A tutto questo Gallino risponde con cifre e dati individuando cause sicure di perdita del lavoro con l’automazione nelle fabbriche e negli uffici,  la riorganizzazione del lavoro, la delocalizzazione, l’importazione crescente da nazioni in via di sviluppo, l’economia sommersa, la finanziarizzazione del mondo. Giusto due parole su quest’ultimo dato (e, già che ci siete potete sostituire il titolo mancante con il più recente “Finanzcapitalismo , euro 10,62): nel mondo le transazioni di denaro scritturale (leggi: sulla carta, o meglio, sullo schermo del computer) superano ogni giorno di 50 volte quelle sulle merci reali!
In questo contesto l’Italia si presenta come il classico vaso di coccio avendo perso o fortemente ridotto la sua capacità produttiva in settori chiave dell’industria come l’informatica e la chimica. “L’Italia industriale è uscita quasi completamente da mercati in continua crescita quali l’elettronica di consumo. Né è pervenuta a far raggiungere un’adeguata massa critica a industrie dove ancora possiede un grande capitale di tecnologia e risorse umane come l’aeronautica civile. Dove essa esisteva, l’ha frantumata: è avvenuto con l’elettromeccanica ad alta tecnologia. Resta in piedi l’ultimo settore della grande industria, l’automobile, la cui crisi procede peraltro verso esiti al momento (2003) imprevedibili”.

[Dopo la morte di Marchionne adesso sappiamo tutto n.d.r.]

All’obiezione che in Italia abbiamo un fiorire di piccole e medie imprese, Gallino, dati alla mano, dimostra che in 20 anni non hanno generato nuova occupazione e mancano delle risorse necessarie per fare ricerca e sviluppo, che sono le sole risorse su cui si può contare a lungo termine per rimanere competitivi. Le strade per la competitività vengono invece cercate dalle imprese attraverso l’abbattimento dei costi del lavoro, utilizzando le nuove norme in materia di “flessibilità.
Peccato che “le risorse umane”, come si chiamano in gergo aziendale, e le loro famiglie abbiano necessità di mangiare ogni giorno e la riassunzione, dopo i 40 anni, diventi sempre più problematica, riguardi lavori meno retribuiti e comunque a tempo determinato o parziale. Il rischio concreto è che, anche in questo campo, ci si avvii verso una società dei 4/5: una società in cui un quinto della forza lavoro sia stabilmente occupata e detenga l’80% del reddito e gli altri litighino per il resto; esattamente come accade a livello globale dove un quinto dell’umanità detiene le risorse e gli altri sperano di entrare a farne parte (ma le regole del gioco le decide qualcun altro).

NOTA del 2018: Nel frattempo abbiamo avuto il job act di Renzi e il decreto dignità di Di Maio, ma non sembra che abbiano letto questi libri

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Italia in frantumi

Un’azione dannosa di tale e plateale entità, che non basta a spiegarla l’incapacità del governatore: col senno di poi, vi si deve vedere una concertata, coerente e prolungata operazione di deliberato depauperamento dello Stato italiano, di dequalificazione dei lavoratori, di deprivazione di industrie avanzate o di alta tecnologia via “privatizzazioni” (aviazione, elettronica, difesa) per farlo “entrare in Europa” (Il trattato di Maastricht era stato appena firmato, nel febbraio 1992) in condizioni di inferiorità e di autonomia economica degradata.

Altrimenti non si spiega come, dopo l’insensato e costosissimo fallimento nella pretesa difesa della lira, Ciampi venga messo a capo del governo da Scalfaro, come venerato “tecnico”: Si noti, dopo che il governo Amato si dimette (aprile 1993) senza aver ricevuto il voto di sfiducia in parlamento, e Ciampi passa da Bankitalia al governo solo quattro giorni dopo. E’ praticamente un putsch: è la seconda volta nella storia d’Italia che un capo del governo viene scelto fuori dal parlamento – il primo essendo stato, il 25 luglio ’43, il generale Badoglio. Sono i mesi in cui infuria Mani Pulite, che annichila i partiti, specie il PSI di Craxi, si sbattono in galera il presidente dell’ENI Cagliari (suicida), si “suicida” Gardini della Ferruzzi… Nel giugno 1992, lo yacht della regina di Inghilterra, il Britannia, appare al largo di Civitavecchia e – in territorio britannico – salgono dirigenti italiani dell’IRI che discutono le privatizzazioni con banchieri americani e inglesi. Il discorso viene introdotto da Mario Draghi, allora funzionario del Tesoro. Ciampi accelera le privatizzazioni, coadiuvato da Romano Prodi rimesso alla presidenza dell’IRI per smantellarla.

E tutto ciò – privatizzazioni e il resto – non avvengono affatto come operazioni “di mercato”, ma al contrario: come imposizioni di Stato. Di uno Stato, s’intende, il cui centro è stato occupato da una centrale di potere auto-distruttiva.

Le vendite-svendite a stranieri hanno anche un altro effetto: “Attraverso il trasferimento all’estero dei profitti e dei risparmi, all’esterno dunque del sistema produttivo nazionale in luogo del loro sviluppo interno, si innesca a nostro danno un potente meccanismo di sottosviluppo” (Antonio Venier, Disastro di una nazione, Ar, 1997).

Così ci hanno fatto entrare nella UE. “Il patto di stabilità”, approvato dai nostri politici nel ’97, “provoca conseguenze gravemente dannose perché impedisce le politiche economiche espansionistiche in periodo di recessione e disoccupazione”. Il divieto di superare l’arbitrario 3% del Pil come deficit annuo,”condanna il nostro paese alla recessione permanente. E’ infatti noto, e confermato dall’esperienza di questo secolo, che il solo mezzo possibile di rilancio dell’attività economica in un paese industriale consiste nella spesa da parte dello Stato”, non finanziata da pressione fiscale aggiuntiva ma dal debito pubblico.

https://www.maurizioblondet.it/ricordo-il-fosforo-di-crotone-penso-allilva-di-taranto/

Economia

Luciano Gallino

La crisi che stiamo vivendo è stata sovente rappresentata come un fenomeno naturale imprevedibile: un terremoto, uno tsunami. Oppure come un incidente capitato a un sistema, quello finanziario, che di per sé funzionava perfettamente. In realtà è stata il risultato di una risposta sbagliata, di ordine finanziario, che la politica ha dato al rallentamento dell’economia reale in corso da lungo tempo. E non, come afferma Bruxelles, il prodotto del debito eccessivo che gli Stati avrebbero contratto a causa della crescente spesa sociale. Al contrario è stato favorito lo sviluppo senza limite delle attività speculative dei grandi gruppi finanziari. Avere lasciato il potere di creare denaro per nove decimi alle banche private è un difetto che sta minando alla base l’economia. E questo con la complicità dell’intero sistema politico e finanziario (la Bce, la Fed, la Banca d’Inghilterra, i fondi speculativi e quelli sovrani, i governi e la Commissione europea). Poche decine di migliaia di individui, i responsabili, contro decine di milioni di vittime. Senza contare che per rimediare ai guasti del sistema finanziario le politiche di austerità stanno generando pesanti recessioni: nell’intento di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto in atto da oltre trent’anni.

Luciano Gallino non era un euroscettico. Considerava l’Unione Europea la più grande invenzione politica, civile ed economica degli ultimi due secoli. Ma vedeva con sofferenza questa Europa ridotta al servizio delle potenti lobbies della finanza e delle banche, portavoce delle maggiori élites europee a scapito dei diritti fondamentali della grande maggioranza dei cittadini e, cosa ancor più grave, culla di un’inarrestabile redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l’alto, con la conseguente crescita delle disuguaglianze. Era sua convinzione che le politiche economiche e sociali dettate dai mercati finanziari hanno portato gli Stati a una cessione di sovranità in materia di spesa per protezione sociale, scuola, università, quota salari sul Pil, contratti di lavoro e molto altro ancora. L’euro si è così trasformato nello strumento della vittoria del neo-liberismo su ogni altra corrente di pensiero. A causa di un’errata interpretazione della recessione, il peso esorbitante del sistema finanziario non ha avuto un freno, le relazioni industriali sono arretrate, i sindacati sono stati ridimensionati, la mancanza di occupazione mostra il profilo di una catastrofe sociale. Prima che gli effetti del dissennato ‘Patto fiscale’ facciano scendere una cappa soffocante di miseria sulle prossime generazioni, Luciano Gallino elenca i modi concreti per uscire dall’euro, rimanendo l’Italia paese membro dell’Unione europea.

autori, libri

I libri di Luciano Gallino

Luciano Gallino (Torino, 15 maggio 1927 – Torino, 8 novembre 2015) è stato un sociologo, scrittore e docente universitario di sociologia italiano.

Uno tra i sociologi italiani più autorevoli, ha contribuito all’istituzionalizzazione della disciplina nel secondo dopoguerra, lavorando dentro e fuori l’accademia su tematiche che riguardano la sociologia dei processi economici e del lavoro, di tecnologia, di formazione e, più in generale, di teoria sociale. Era considerato uno dei maggiori esperti italiani del rapporto tra nuove tecnologie e formazione, nonché delle trasformazioni del mercato del lavoro. I suoi principali campi di ricerca sono stati la teoria dell’azione e teoria dell’attore sociale, le implicazioni sociali e culturali della scienza e della tecnologia, gli aspetti socio-culturali delle nuove tecnologie di telecomunicazione.
(da wikipedia)
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