Letteratura

Leggere e scrivere

Devo ammettere che il mio interesse per la scrittura dei bambini (intendo,
ovviamente, la scrittura manuale) ha avuto inizio col riconoscimento che il mio
modo di interpretare la questione era sostanzialmente sbagliato. Della scrittura
mi interessava, infatti, il prodotto (e poteva trattarsi anche di una sua
trascrizione, purché fedele) e non il modo in cui ciascun bambino scriveva.
Qualche sospetto che ci fossero aspetti dell’avviamento alla pratica della
scrittura che sfuggivano all’attenzione diffusa incominciò ad affacciarsi quando
mi accorsi che erano sempre più numerosi gli insegnanti che lamentavano, nei
frequenti incontri che avevo con loro, la crescente difficoltà dei bambini, nella
scuola dell’infanzia e poi in quella elementare, a coordinare le percezioni con le
attività manuali: erano sempre meno i bambini che sapevano allacciarsi le
scarpe, tenere funzionalmente le posate o usare un paio di forbici. Dei bambini
appena un po’ più grandi, già in terza o in quarta elementare, mi riferivano
dell’incapacità di tener la penna in modo proprio, con tre dita: in troppi casi
l’impugnavano tenendo la mano a tubo, o facendo annidare l’asticciola fra
l’indice o il medio. Alle posizioni improprie corrispondeva la tendenza ad
abbandonare la scrittura corsiva, a favore del maiuscoletto. Chi avvertiva l’utilità
della scrittura corsiva, qualche volta ne ricreava una collegando fra loro le
lettere maiuscole. Non era infrequente, infine, che la scrittura manuale fosse
quasi completamente abbandonata, a favore di quella digitale.
L’analisi di una quantità di documenti prodotti dai bambini è stata alla base della
composizione di un quadro descrittivo dello stato della capacità di scrittura in
relazione ai mutamenti in atto, ma anche dei fenomeni involutivi che investivano
l’ampiezza del lessico, l’ortografia, la grammatica, la stessa organizzazione del
testo. È stato questo il punto di partenza per le ricerche in cui sono stato
impegnato negli ultimi anni, a incominciare da Nulla dies sine linea per arrivare
al complesso programma In intellectu et in sensu.
Se dovessi indicare quali sono state le indicazioni di maggiore interesse che ho
tratto dalle ricerche menzionate, dovrei richiamare l’attenzione dei genitori e
degli insegnanti su alcuni punti:
• la pratica della scrittura manuale corrisponde allo sviluppo di una
manualità fine, che non si esaurisce nella pratica della scrittura, ma
investe nell’insieme la relazione fra il pensiero e l’azione;
• la scrittura manuale consente un accrescimento dei repertori lessicali
maggiore di quello consentito da altre pratiche di scrittura;
• la scrittura manuale aiuta ad accrescere la memoria e a rendere stabili
gli apprendimenti acquisiti;
• più in generale, si può individuare una relazione tra l’affermarsi di stili di
vita dominati dal consumismo e la sostituzione della scrittura manuale
con quella mediata da risorse digitali.

https://www.academia.edu/37663339/Incontro_AGIF_27_0ttobre_2018_sintesi_e_registrazione_dellintervento

scuola

Scuola online

Dalla notte dei tempi si sa che il valore della scuola sta nel dialogo verticale e orizzontale che si crea fra studenti e docenti, che non si tratta solo di fare entrare in testa delle nozioni, ma di suscitare una cultura e una capacità critica attraverso lo scambio e questo è tanto più vero quanto più si avanza negli studi. So benissimo di aver imparato di più dalle notti passate a leggere Kant o Marx o Schopenhauer o Nietzsche insieme ad amici che da tutte le lezioni messe assieme. Eppure entrambe le cose erano strettamente legate, impossibili le une senza le altre.  La scuola “per corrispondenza”, dove ognuno  è isolato fa perdere completamente questa dimensione lascia il posto al vuoto diplomificio: il Cepu, versione degradata della glorioso  è  dunque il modello ideale, tanto più che on line non si sa bene come poter giudicare la preparazione degli allievi, la loro crescita i loro problemi o le loro caratteristiche di apprendimento per la scuola privatissima di recupero per asini  è l’ideale. Non bisogna pensare a un incidente di percorso virale perché il declino dell’insegnamento in Italia è stato rapido e impressionante: dalle università esce gente che non sa nemmeno esprimersi in un italiano corretto e che possiede un universo cognitivo simile a quello del dado con l’acqua calda, rispetto al brodo lentamente sobollito: lì per lì può sembrare la stessa cosa, ma si tratta di due cose incomparabili. Se volessimo descrivere la situazione nella sua orribile realtà credo che non ci sia miglior esempio di quel corso universitario in cui 21 studenti si 49 non hanno saputo risolvere un esercizio  preso da un sussidiario per la quarta elementare del 1905. Sospetto che i bocciati siano poi diventati Sardine, gente così profondamente vuota e incolta da pensare di essere supremamente acculturata. Oddio è anche vero che alla Stanford University si è scoperto che il 78 per cento degli studenti di ingegneria non aveva capito il principio di Archimede, quindi non capiva perché una nave galleggia e non affonda, anche se sapeva applicare le formule matematiche del caso.

Ma qui ci saldiamo ad un altro discorso: quegli studenti di ingegneria che non erano in grado nemmeno di esclamare “iurika”, come certamente leggerebbero il greco antico di Siracusa, sono il risultato di un contesto culturale dove è preponderante la parte pragmatico – algoritmica dell’istruzione che non coincide con la comprensione, ma con la competenza e l’abilità funzionale. Non sono dunque pesci fuor d’acqua, ma lo siamo noi che da decenni non riusciamo ad esprimere alcuna soggettività culturale e ci limitiamo a scimmiottare ciò che viene dall’altra parte dell’atlantico e che è poi all’origine del declino occidentale. Per questo è ormai inutile avere qualcosa che vada oltre il Cepu: pochissima spesa, esami pro forma, tutti promossi, insegnanti pagati pochi euro. E del resto anche questo abominio  lo vuole l’Europa delle oligarchie: una trentina di anni fa la commissione europea redasse un rapporto poi diventato linea guida in cui si sosteneva che “Un’università aperta è un’impresa industriale e l’insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. Quest’impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell’insegnamento permanente”. Vogliamo forse negare che da questo punto di vista il Cepu sia effettivamente qualcosa di avanzato rispetto ai secolari atenei o alle scuole dove gli insegnanti tentano di aprire le menti degli alunni? Già da molti anni spendiamo per l’istruzione molto meno degli altri Paese europei, ad accezione di Slovacchia e Bulgaria, quindi non dobbiamo sorprenderci se la pandemia è ora il pretesto ottimale per cominciare a chiudere definitivamente baracca e burattini del vero insegnamento pubblico e dunque anche della democrazia.

estratto da https://ilsimplicissimus2.com/2020/06/04/la-vittoria-del-cepu/