Argomenti vari

Ricordo di Adriano Olivetti

Un nuovo incontro nell’ambito del progetto ‘Galeotto fu il libro’ si terrà venerdì 10 marzo 2023 dalle 11:15 alle 13:10 presso l’atrio Bassani del Liceo Ariosto di Ferrara. Paolo Bricco, giornalista, saggista e inviato speciale de “Il Sole 24ore”, dialogherà con gli studenti e le studentesse sulla sua ultima opera AO. Adriano Olivetti un italiano del Novecento (Rizzoli, 2022).

Il saggio ripercorre la vita di Adriano Olivetti, dirigente della prima fabbrica italiana di macchine da scrivere, fondata da suo padre, Camillo Olivetti, nel 1908. Adriano Olivetti è stato un personaggio di spicco nelle vicende industriali del nostro Novecento, in particolare nelle città di Ivrea e Pozzuoli, dove aprì grandi fabbriche, consentendo a molte persone non solamente di trovare lavoro, ma anche di migliorare le proprie condizioni di vita. Egli, infatti, non è stato unicamente un imprenditore, ma anche un architetto, un urbanista, un editore, uno scrittore, un politico, un sociologo, un innovatore. I dipendenti della Olivetti vivevano in condizioni migliori rispetto a quelli delle altre grandi fabbriche italiane: avevano accesso a sale ricreative, a una biblioteca e a un servizio sanitario interno, nonché a prestiti, agevolazioni e salari più alti. Il libro tuttavia non è una semplice biografia, bensì il racconto di una figura complessa, talvolta contraddittoria, strettamente connessa al contesto storico – culturale: la passione per l’organizzazione scientifica del lavoro e l’attrazione per la spiritualità e la classicità; il complesso percorso dal socialismo di famiglia degli anni Venti all’adesione teorica al corporativismo fascista; i legami tormentati con i famigliari, le due mogli e le altre donne amate.

Gli studenti e le studentesse avranno dunque l’occasione di riflettere non solo sulla storia passata, ma anche sul presente dell’industria italiana: certamente la società ha fatto grandi progressi, ma per molti aspetti la Olivetti era senz’altro più avanti del mondo di oggi.

Argomenti vari, storia

La democrazia in America

Da più o meno 160 anni uno spettro si aggira per l’Europa: si tratta de La Democrazia in America del visconte Alexis de Tocqueville, il libro a cui si deve ascrivere una delle più grandi finzioni della storia, ovvero  il mito del modello americano inclusivo, libero, dotato di un sistema di rappresentanza universale e privo di una vera e propria aristocrazia parassitaria che anche quando accennava a formarsi appariva comunque “poco diversa dalla grande massa del popolo di cui abbracciava facilmente le passioni e gli interessi”. Chi affronta lo studio della storia americana e della sua rivoluzione alla luce di questa classica e ingenua convinzione si rende però immediatamente conto che quella di Tocqueville è soltanto una sorta di favola e per giunta anche piuttosto superficiale perché tutte le discussioni dei padri fondatori della Repubblica avevano ben altro spirito e vertevano invece sulla costruzione di un sistema fortemente verticistico, teso a garantire in maniera ossessiva una elite di ottimati dagli errori del popolo dotato dell’arma del voto. E questo viene detto apertis verbis in molte delle documentazioni che abbiamo a disposizione. Tra parentesi è lo stesso clima che si è affermato quando si è cominciato a parlare di Stati uniti d’Europa, ma quello che interessa qui è capire da dove derivi la fortuna del libro di Toqueville, come mai sia diventato l’architrave di un gigantesco equivoco pur essendo poco più di una divagazione di un viaggiatore così disattento da non vedere quello che aveva davanti a gli occhi.

La risposta la si può trovare in Tocqueville stesso, appartenente al novero di quelle famiglie di piccola nobiltà terriera, non più sostentate dalle rendite dei piccoli feudi che avevano da tempo intrapreso la via delle professioni: era insomma a metà strada fra ancient regime e ascesa della borghesia, fra primo e terzo stato, ma ancora intensamente reazionario.  E del resto la madre di Alexis era nipote dell,’avvocato che difese Luigi XVI davanti alla Convenzione nazionale. Questa nevrotica scissione accompagnerà  Tocqueville per tutta la vita e si accompagnerà alle frustrazioni per la sua modesta cariera nella magistratura. La sua Democrazia in America nasce proprio all’interno di questa enorme e profonda faglia politica: nel 1830 una rivoluzione depone il re Carlo X di Borbone al quale Toqueville era fedele e mette sul trono Luigi di Orleans di idee più liberali, simili proprio a quelle che Tocqueville aveva cominciato a sviluppare leggendo  Montesquieu, Voltaire, Rousseau nella biblioteca paterna, ma soprattutto prendendo coscienza della sua appartenenza al mondo borghese. Insomma diviso tra la fedeltà al vecchio re e le idee del nuovo accettò di buon grado l’incarico di studiare le istituzioni carcerarie americane e salpò verso gli Stati Uniti dove rimase poco meno di un anno, parte del quale passato a vagabondare per il continente. Se ne tornò in Francia con l’idea che negli Usa ci fossero grande livellamento sociale, assenza di privilegi e uguali possibilità per tutti nella competizione sociale. In realtà questo era solo l’effetto non di un sistema politico ma dell’immenso eccesso di risorse in un Paese – continente abitato all’epoca da meno di 12 milioni di abitanti, esclusi i pellerossa che erano però stati praticamente già sterminati: insomma c’era posto per tutti anche se non si era a capotavola, il che nel folclore popolare e cinematografico si è tradotto nel Paese delle opportunità. E tutto questo è stato sostanzialmente vero sino alla metà del ‘900, ma oggi gli Usa sono il Paese che ha la minore mobilità sociale fra tutti quelli sviluppati, mostrando la filigrana di una rigida struttura elitaria che rende più chiaro e più confuso insieme ciò che sta avvenendo in questi giorni.

Non so dire se Tocqueville abbia subito delle romantiche suggestioni dallo zio, Renè de Chateaubriand che anni prima aveva vagabondato anche lui in Nord America e che condivideva la stessa appartenenza sociale, antica nobiltà dedita in seguito commerci e quindi sempre a cavallo fra due mondi, ma si rimane basiti dalla descrizione edulcorata e falsa di  un’America che in realtà era egemonizzata da un ceto possidente già prima dell’indipendenza tanto che nel 1770 l’1%  dei grandi patrimoni nelle città deteneva il 45 per cento della ricchezza e questa razza padrona era ossessionata in permanenza dalla possibile minaccia di rivolte e sovversioni che del resto non erano mancate e parevano sempre in procinto di dare l’assalto al potere. In questa logica, il tratto originale  insito nella nascita degli Stati Uniti d’America è un’operazione mimetica per creare consenso attorno alla posizione dominante di classe e mantenere il potere politico. Ma tutto questo è evidentemente sfuggito a Tocqueville che voleva solo fondare una mitologia. E si rimane anche basiti  dalla scarsissima attenzione posta al problema della schiavitù dei neri che avrebbe potuto essere un bel problema per l’idillio democratico messo in piedi  e sullo sterminio dei pellerossa: alla fine il nostro risolve tutto nel dire che queste popolazioni dovrebbero accettare completamente lingua, cultura e costumi anglosassoni per poter uscire dalla loro condizione subalterna . Insomma un tipico colonialista europeo, forse anche un tantino razzista se è vero che fu amico e mentore di Joseph Arthur de Gobineau, l’autore del Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane,  testo fondamentale del razzismo del XIX° e XX° secolo.

Ma probabilmente l’ evitare alla democrazia americana il problema razziale piaga insanabile dall’origine ai nostri giorni  accompagnata dall’invito ad essere assorbiti dalla civiltà bianca è probabilmente stato uno dei fattori di successo del libro, insieme alla denigrazione della rivoluzione francese che “aveva fatto dei morti” e all’esaltazione invece di quella americana che in realtà ne aveva fatti molti di più, ma, come dire, senza volere, senza dare alla violenza una carica politica. La grande borghesia continentale che pure era giunta al potere con i sanculotti voleva tagliare i ponti con una rivoluzione nella quale era nascosto in qualche modo il germe del socialismo e la favola americana che esaltava la libertà economica, il buon paternalismo e l’avidità nascondendone le origini e le conseguenze era l’idea giusta per costruirsi una legittimità. Se oggi non capiamo cosa cavolo stia succedendo è semplicemente perché abbiamo un’idea dell’America radicalmente lontana dalla realtà e assistiamo ai contorcimenti di un potere in qualche modo diviso, la cui etica è l’esatto contrario di quella che viene narrata.  La favola bella che ieri ci illuse e continua ad illudere.

https://ilsimplicissimus2.com/2021/01/15/maledetto-tocqueville/

Argomenti vari, mostra, mostre

Ricominciamo

RICOMINCIAMO DAL FUTURO
Le opere di Michelangelo Miani verranno esposte dal 24 al 30 settembre 2012, nei
locali al pianterreno.
Mostra di fotografia “Ambiente (e) Futuro: Scatti liberi”
Narrativa di Fantascienza: il futuro, l’ambiente, il viaggio nel tempo.
PROGRAMMA
SABATO 22 SETTEMBRE
POMERIGGIO
16-19 Seminario PRIMIT , relatore Sandro Pascucci
16.00 : 16.30 = breve storia della moneta (nascita della moneta, medioevo, banche
centrali)
16.30 : 17.00 = situazione monetaria attuale (banche centrali e politici collusi)
pausa 10 minuti
17.10 : 18.00 = come recuperare la sovranità monetaria (proposte tecniche)
18.00 : 18:50 = pericoli sociali di non intervento (dibattito)
19.00 = fine lavori
SERA
20.30 Retrofuturo: Uomini e lavoro alla Olivetti, una occasione mancata
DOMENICA 23 SETTEMBRE
MATTINA
10.30 “Arcipelago SCEC: per una economia a misura d’Uomo” Presenta Lisa
Bortolotti, responsabile regionale dell’associazione
POMERIGGIO
16 “GDR (Giocare, Divertirsi, Riflettere)”
Filmato “Si Gioca: La Crisi” (2012) Reloaded (coordinatore Gian Luca Balestra;
interverranno Francesco Giombini, Gianluca Maragno, Antonella Chinaglia)
Argomento: si parlerà del gioco e dei giochi disponibili (prevalentemente a sfondo
economico)
(a cura dell’associazione “Spigoli & Culture” di Ferrara e della ludoteca di Bondeno)
SERA
20.30 Serata ludoteca con giochi di economia (Acquire, Le Havre, Coloni di Catari,
Power Grid ecc.)
SABATO 29 SETTEMBRE
15.30 Apertura lavori, presentazione delle Associazioni Culturali “L°araba Fenice di
Bondeno” e “La Fenice” di Bergamo, lettura della lettera di sostegno del Collegio
Vescovile S. Alessandro di Bergamo.
15.45 LA FENICE: TRA MITO E STORIA (prof. Gian Paolo G. Scharf, Uninsubria,
Varese)
17.00 MEMORIE NON VOLATILI PER APPLICAZIONI SPAZIO – PROGETTI (Ing.
Cristiano Calligaro, RedCatDevices, Responsabile del progetto SkyFlash,
18.15 GUNDAM: ERA UN FUTURO POSSIBILE (dott. Luigi Mastromatteo, Liceo
Torricelli, Roma)
20.30 La ludoteca “I signori della nebbia” presenta VegeTables, un gioco di Daniele
Ferri. Sarà presente l’autore
DOMENICA 30 SETTEMBRE
MATTINA
10.00 Apertura dei lavori
10.15 Visita guidata agli ambienti della mostra
11.00 SCRIVERE DI FANTASCIENZA (Paolo Aresi, scrittore e giornalista, Eco di
Bergamo)
12.00 DOCTOR WHO: L’EMBLEMA DELLA SCI FI INGLESE, dal 1963 ai giorni nostri
(prof. Alessandro Gaj, European School of Economics, Università di Madrid)
POMERIGGIO
15.00 RINNOVARE L’ENERGIA DELL’ACQUA PER UN FUTURO MIGLIORE (prof.
Alberto Tripoli, Libera Università Nichols Flames, Bergamo)
16.15 STAPPA LA CREATIVITA’: INNOVARE “PRATICAMENTE” IN TEMPI DI CRISI
PER UN FUTURO MIGLIORE (Alessandra Mattioni, Life Coach – Lecce)
17.30 Controfuturi, ovvero come i Cigni neri governano le nostre vite.
(D.ssa Raffaella Trigona, Università di Bergamo)
SERA
20.30 Stefano Balestra presenta il suo film “Run Time”

Argomenti vari, Società

La grande livellatrice

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Si può trovare una cura per la disuguaglianza che non sia peggio della malattia? Da quando gli esseri umani hanno iniziato a coltivare la terra, ad allevare bestiame e a trasmettere i loro beni ai figli, si è realizzata una ripartizione squilibrata delle risorse: in altri termini, la concentrazione del reddito ha proceduto di pari passo con la civilizzazione. Nel corso di migliaia di anni, solo quattro «forze» – come i cavalieri dell’apocalisse – si sono mostrate efficaci nel ridurre la disuguaglianza: le grandi guerre, il fallimento degli stati, le rivoluzioni e le epidemie. Tutti eventi traumatici. Oggi la violenza che ha limitato la disuguaglianza nel passato sembra essere diminuita, ma che ne è delle prospettive per un futuro più equo? Le politiche attuate negli ultimi cinquant’anni per combattere il fenomeno non hanno dato risultati concreti: al contrario, le disparità di reddito sono aumentate quasi ovunque nei paesi occidentali. Un certo grado di disuguaglianza, che la stabilità e l’economia di mercato comportano, è forse il prezzo da pagare per vivere pacificamente?

Argomenti vari

Per pochi, non per tutti

Nel 2012, dopo il terremoto dell’Emilia, organizzammo a Bondeno una manifestazione che si articolò per due fine settimana comprendente mostra fotografica e incontri telematici (già allora) e in presenza:

http://ambientefuturo.info

Visto il nessun interesse da parte di un ipotetico pubblico, pensai di lasciare comunque una traccia con un blog visibile a tutti ma non pubblicizzato; ogni tanto qualcuno ci capita per caso:

https://terzapaginaweb.wordpress.com

Questa è la trilogia della settimana…

Argomenti vari

Konrad Lorenz

Come stupirsi che gli ecologi siano considerati dei “sognatori nostalgici” quando ammoniscono che l’oro e il denaro sono soltanto dei simboli e che le materie prime necessarie alla vita, come l’aria pura e l’acqua non inquinata, presto non si potranno più acquistare neppure per tutto l’oro del mondo?». 

 Così scriveva Konrad Lorenz (1903-1989),  scienziato naturalista e filosofo ecologista, ne “Il declino dell’uomo” (Piano B, 2017, pp. 229, € 16). Pubblicato nel 1983, pochi anni prima della sua scomparsa e dopo dieci anni dal celebre “Gli otto peccati della nostra società”, il testo, che è un po’ la summa della sua attività di studioso e di ricercatore, è di una stringente attualità. Nessuno dei pericoli denunciati da Lorenz, dall’inquinamento alla distruzione degli spazi vitali, dalla sovrappopolazione alla perdita delle qualità umane proprie dell’uomo, dall’eccesso di competizione all’abnorme crescita economica è stato debitamente affrontato o minimamente risolto. 

“Il declino dell’uomo” di Konrad Lorenz

Vicolo cieco

L’umanità sembra aver imboccato, anzi, un vicolo cieco e la crescita quantitativa sembra porre termine alla evoluzione creatrice che ha da sempre contrassegnato la storia della natura e dell’uomo. Lo scientismo, vale a dire l’opinione che sia reale solo quello che si può misurare o quantificare, negando quindi valore all’esperienza soggettiva ed interiore, alle emozioni, ai sentimenti, è la concezione del mondo oggi dominante che ha portato ad uno svuotamento di senso e a una progressiva disumanizzazione.  Ma, contrariamente a quanto farebbe pensare il titolo, “Il declino dell’uomo” non è il libro di un pessimista. Ci sono, malgrado tutto, ragioni per essere ottimisti:

«Non dobbiamo dimenticare quanto sia recente la nostra capacità di avvertire i pericoli di disumanizzazione che ci minacciano. L’esempio della mia stessa evoluzione scientifica dimostra che fino a poco tempo fa neppure uno studioso abituato a pensare in termini biologici aveva chiari in mente i pericoli che ci minacciano. Gli ammonimenti di William Vogt contro l’incauta distruzione delle condizioni di equilibrio ecologico non mi avevano affatto convinto (…) È stato in fondo soltanto il libro di Rachel Carson, The silent spring (Primavera silenziosa), a destare la mia attenzione, spingendomi a scendere in campo contro la tecnocrazia. (…) Tutto a un tratto vidi con chiarezza che la fede ingenua nel progresso, l’eccesso di organizzazione, l’agglomerarsi di grandi masse umane in spazi ristretti, si combinano fra loro, formando un circolo vizioso e rafforzandosi reciprocamente. Finalmente vidi come siano stretti i rapporti fra la scomparsa dei lati umani dell’uomo e l’autoannientamento del genere umano.»

D’altronde, dove deve prendere un giovane i suoi ideali? 

«Quando un giovane cresce in città, in un ambiente esclusivamente dedito a interessi materiali, industriali o finanziari, non c’è da stupirsi se egli non vede nel proprio padre, per quanto successo abbia avuto e per quanta carriera abbia fatto, un modello da imitare; tanto più se il giovane si rende conto che questi uomini di successo, costantemente sulla soglia dell’infarto, subiscono forti stress e non sono per nulla felici. (…) Un giovane che cresca nelle zone più popolate di una moderna metropoli ha poche occasioni per conoscere la bellezza e l’armonia della creazione organica. (…) C’è da stupirsi se diventa cinico e afferma che “la vita è senza senso”?».

Sennonché la sensibilità per la bellezza e l’armonia della natura ha bisogno d’essere educata. E rivolgendosi alle giovani generazioni, su cui riposa la sua (e nostra) speranza di un mutamento dei valori oggi dominanti (che si riassumono nella corsa al guadagno e al successo), ma forse anche agli educatori illuminati, Lorenz dà un consiglio da scolpire a caratteri cubitali: «la miglior scuola nella quale un giovane possa apprendere che l’universo è dotato di senso è la pratica diretta con la natura.» 

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/konrad-lorenz-e-il-declino-dell-uomo-senza-ecologia

Argomenti vari

Cos’è il lievito madre?

 

I lieviti che abbiamo a disposizione per ottenere pizza, pane e focacce sono:

-madre o pasta acida
-lievito di birra
-lievito istantaneo a base di cremortartaro
-bicarbonato di sodio

Il LIEVITO MADRE potrebbe essere definito un “impasto di farina e acqua lasciato fermentare spontaneamente, ovvero senza l’inoculazione di nuovi microbi fermentativi”. Questo significa che la pasta madre non necessita, dopo la creazione, di ulteriori aggiunte di lieviti o batteri. E’ infatti sufficiente che, periodicamente e con sistematicità, vengano alimentati i microorganismi in essa già presenti.
Il lievito madre è quindi un alimento VIVO che deve essere conservato nel rispetto dei batteri e dei miceti che lo compongono. Il lievito madre si mantiene grazie ad una sorta di “moto perpetuo” e potrebbe essere definito un lievito inesauribile!

Inoltre mentre il lievito di birra è costituito esclusivamente (o quasi) da lieviti Saccharomyces (prevalentemente cerevisiae) che lavora per fermentazione alcolica, il lievito madre possiede una maggior varietà di microorganismi attivi tra i quali, oltre ai lieviti (Saccharomyces e Candida), figurano alcuni batteri lattici omofermentanti (ovvero che producono solo acido lattico e anidride carbonica) ed eterofermentanti (ovvero che producono anche composti secondari come acido acetico, etanolo ecc.). Questi batteri, producendo anche acido lattico e acetico determinano “l’acidificazione della pasta” e sono responsabili di varie modificazioni nutrizionali, organolettiche e gustative del prodotto ottenuto col lievito madre.

I vantaggi dei lievitati con pasta madre:

-il gusto più ricco e intenso
-la durata maggiore del prodotto
-la riduzione a livello intestinale di un antinutriente chiamato acido fitico che riduce l’assorbimento di ferro e zinco

Come ravvivare o rinfrescare il lievito madre?

Prelevare la madre dal frigo e, per ridurre i tempi, metterla a bagno maria immergendo il vasetto in un pentolino di acqua a 35 -40 ° per 10 minuti circa.

Estrarre la madre dal vasetto, pesarla e inserire in una terrina il 60% del peso della madre di acqua  tiepida. Ad esempio, se la madre pesa 200 g, servono 120g di acqua tiepida .

Sciogliere la madre nell’acqua tiepida e aggiungere una quantità di farina pari al peso della madre. Non e’ necessario ravvivare sempre con la stessa farina , sono ben accette farine anche integrali.

Lavorare a mano fino a raggiungimento di consistenza e brevemente  l’impasto.

Dividere  in due parti la madre ravvivata:
-Una parte andrà nel vasetto chiuso subito e mettendolo in frigo dopo un paio d’ore.
-Avvolgere con la pellicola in una terrina l’altra parte e riporre in ambiente caldo e a temperatura costante di circa 23-25°C fino al triplo delle sue dimensioni iniziali.

E le farine? Facciamo chiarezza

Le farine si suddividono in tipo:

-00 e 0 che hanno completamente perso la CRUSCA ed il GERME DI GRANO, cioe’ la parte vitale del chicco per lasciar spazio unicamente ad amidi e zuccheri;
-1 e 2 che contengono una frazione di proteine e soprattutto fibre senza che queste siano separate meccanicamente dal germe;
integrale ottenuta dalla macinazione dell’intero chicco privato unicamente delle cuticole più esterne

ATTENZIONE: in commercio esistono anche farine e prodotti da forno integrali che in realtà sono prodotti con farina raffinata con aggiunta di crusca.

Cos’è il glutine?

Il glutine (dal latino gluten = colla) è un complesso alimentare costituito principalmente da proteine (gliadine e glutenine). Nei semi di origine, le proteine che compongono il glutine hanno la funzione di nutrire l’embrione durante la germinazione. Originariamente separate nell’endosperma della cariosside, si combinano insieme per formare glutine negli impasti a base di farina, previo attivazione dell’acqua (nella quale NON si scioglono ma si assemblano).

La panificazione è resa possibile dalla presenza del glutine, che come abbiamo già detto si forma in seguito all’idratazione e all’azione meccanica dell’impasto.

Nel momento in cui aggiungiamo acqua alla farina, le gliadine (formate da un’unica catena proteica) cominciano ad associarsi formando delle fibrille (fibre piccole e sottili), che conferiscono estensibilità alla massa glutinica.
Contemporaneamente, anche le glutenine (composte da diverse subunità proteiche) si assemblano, dando origine a fibre di dimensioni maggiori e formando una struttura, stabile e molto coesiva, che dona all’impasto consistenza e una certa resistenza all’estensione.

 

Facciamo il Pane

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Il Lievito Madre

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Il Borghese

Caro Direttore,

un grazie sincero a Bozzi Sentieri per avere ricordato il “Borghese” di Leo Longanesi, a settant’anni dal suo primo numero, e gli alti e bassi della sua esistenza. Non ho nulla da correggere su quanto egli ha scritto; permettimi tuttavia qualche piccola aggiunta, legata a ricordi personali non di collaboratore, ma di amico di alcuni fra i suoi redattori.

“Il Borghese” non nacque come organo neofascista. Longanesi, del resto, dopo il 25 luglio non aveva aderito alla Rsi, anzi aveva scritto per il “Messaggero” un editoriale in cui celebrava il ritorno alla libertà. Ma la libertà ritrovata lo deluse e per questo divenne, se non un “leo-fascista”, come qualcuno scrisse scherzosamente di lui, un anti-anti-fascista, e tale rimase. Prodotto di questa sensibilità fu “Il Borghese”, espressione di una cultura laica e anticomunista, che non si riconosceva nel confessionalismo della Dc, della quale per altro paventava le aperture a sinistra. In un primo momento poteva accadere che un giovane e promettente storico come Giovanni Spadolini potesse collaborare simultaneamente al “Borghese” e al “Mondo” di Mario Pannunzio; solo in un secondo tempo gli fu posto da quest’ultimo l’aut aut fra le due testate e l’ex collaboratore di “Italia e Civiltà” optò per la seconda, aprendosi la strada per una prestigiosa carriera giornalistica, accademica e infine politica.

La testimonianza di Melchionda

Comunque “Il Borghese” era tutt’altro che collaterale al Msi. Roberto Melchionda, un fine studioso di Evola che per vivere fece il capoufficio stampa della Confindustria di Firenze, mi raccontò della sua mancata collaborazione al settimanale quando era un giovanissimo reduce della Rsi. Longanesi gli propose un articolo sui ragazzi delle organizzazioni giovanili missine e, com’era sua abitudine, gli spiegò come avrebbe dovuto scriverlo: rappresentando l’iperattivismo di questi giovani che volantinavano, facevano a botte con gli avversari, affiggevano manifesti quasi come il prodotto di una sovrabbondanza vitale, di un esubero di “energia orgonica”. Melchionda declinò l’invito: a scrivere un articolo così – come in fondo Longanesi gliel’aveva già scritto – gli sarebbe sembrato di tradire il suo mondo. E dire che all’epoca era squattrinato e disoccupato, e “Il Borghese” pagava bene…

La direzione di Mario Tedeschi e la svolta più a destra

La radicalizzazione a destra del settimanale incominciò dopo la morte di Longanesi, con la direzione di Mario Tedeschi, che era un reduce della X Mas, e con l’allontanamento di Montanelli, che per altro aveva quasi sempre pubblicato i suoi articoli sotto pseudonimo, per motivi di esclusiva con il “Corriere” e presumo anche di opportunità politica. Per motivi di opportunità, come mi rivelò tanti anni fa lo stesso Melchionda, Montanelli si tirò fuori all’ultimo momento dal tentativo di trasformare i circoli del “Borghese” che Longanesi aveva fondato in un movimento politico, per il quale aveva scelto la profetica denominazione di “Lega dei Fratelli d’Italia”. Così Montanelli lasciò l’amico solo sul palco del milanese Teatro Odeon a presentare con un istrionico e travolgente discorso il movimento, che naturalmente ebbe vita breve.

Il derby tra il Borghese e il Mondo

La questione però è più complessa. Dalla morte di Longanesi in realtà si andò verificando in buona parte del giornalismo italiano una biforcazione, si parva licet, fra una destra e una sinistra longanesiana. La destra longanesiana fu quella di Tedeschi e di Gianna Preda, caporedattrice e comproprietaria del settimanale, e poi di Montanelli (l’impaginazione del primo “Giornale” aveva eleganze da “Omnibus”). La sinistra fu quella dei Pannunzio, dei Cederna, dei Gorresio degli Scalfari, che, partita col “Mondo” da posizioni liberali critiche del keynesismo, sarebbe approdata al radicalismo dell’“Europeo” e poi di “Repubblica”. In realtà, sia il “Borghese” che il “Mondo” si rivolgevano a un pubblico borghese, ma si trattava di due borghesie diverse. Quella di Tedeschi era una vecchia borghesia di colonnelli in pensione, di funzionari statali “di gruppo A”, di professionisti all’antica (non a caso “Il Borghese” troneggiava nelle sale lettura dei Circoli Ufficiali e nelle anticamere dei dentisti); quella dei nipotini di Pannunzio, che pure, per molti aspetti, era un uomo d’ordine, era una neoborghesia rampante, quella che con gli anni ‘70 avrebbe finito per prevalere.

Le firme: da Montalli ad Accame e Prezzolini

Ciò nonostante, “Il Borghese” visse fino al 1972 proprio durante la gestione Tedeschi-Preda i suoi anni migliori, con tirature altissime che gli permettevano, nonostante gli scarsi introiti pubblicitari, di pagare un ottimo borderò, assicurandosi firme prestigiose come quella di Prezzolini, di mantenere redazioni locali, come quella di Firenze, cui fu destinato il giovane Giano Accame per “tenere d’occhio” il sindaco Giorgio La Pira e le sue aperture a sinistra, di avere inviati speciali anche all’estero, di promuovere un’attività editoriale di tutto rispetto. E questo nonostante la concorrenza a destra di almeno due settimanali, come il “Candido” di Guareschi e poi di Pisanò e “Lo Specchio” di Giorgio Nelson Page, per tacere di “Gente”, di Edilio Rusconi, settimanale popolare che però poteva vantare ottime pagine culturali, con collaboratori come Piero Capello, e inviati speciali come Luciano Garibaldi. I suoi articoli erano molto letti e seguiti nel “Palazzo” e potevano provocare una crisi ministeriale. Avvenne nel 1965. Gianna Preda, ben introdotta nei salotti registrò con un magnetofono nascosto una conversazione tenuta con Giorgio La Pira a casa di Bianca Rosa Provasoli coniugata Fanfani, sua amica nonché consorte dell’allora ministro degli Esteri, e poi, slealmente, pubblicò il tutto sul “Borghese”. Il “sindaco santo” (o “il santo pazzo”, come l’aveva ribattezzato Guareschi) aveva fatto dichiarazioni tanto imbarazzanti da costringere Fanfani alle dimissioni.

La crisi del settimanale

La crisi del “Borghese” ebbe inizio nel 1972. Fino ad allora il settimanale era stato un organo politico ma non partitico e aveva annoverato lettori in un’area di “grande destra” spaziante dal movimento sociale ai liberali, dai monarchici ai democristiani impazienti delle aperture a sinistra: nel 1963, per esempio, la Preda aveva redatto un dépliant propagandistico del Pli di Malagodi. Con le elezioni del 1972 “Il Borghese” divenne di fatto un organo ufficioso di partito con la candidatura di Tedeschi al Senato nelle liste del Msi-Destra Nazionale. Gianna Preda ci mise del suo, dando le parole a una marcetta un po’ kitsch, “L’ultima frontiera”, musicata Pino Roncon, con cui si aprivano i comizi di quella tormentata campagna elettorale (ma la sua adesione fu di breve durata: se ne allontanò per dissenso nei confronti delle posizioni antidivorziste della dirigenza missina).

Il successo meno brillante del previsto della Destra alle elezioni del 7 maggio, le ambiguità della gestione almirantiana del partito, oscillante fra appelli alla maggioranza silenziosa e istanze ribellistiche, la persecuzione giudiziaria e non solo giudiziaria del Movimento sociale, condussero Tedeschi a promuovere nel 1976 la scissione di Democrazia nazionale, che condusse al crollo delle vendite del settimanale. “Il Borghese”, che nel 1972 aveva perso parte del pubblico moderato, fu abbandonato quattro anni dopo dai lettori missini. Ho conosciuto abbonati del settimanale che non si recarono nemmeno a ritirare in edicola le copie cui avrebbero avuto diritto (anche allora usava dotare gli abbonati di buoni consegna, per ovviare ai disservizi postali), per non contaminarsi con quel foglio di “badogliani”. La sindrome del 25 luglio colpiva ancora!

La scissione di Democrazia nazionale

In realtà, Almirante ebbe la mala ventura di essere un ex leader della sinistra sociale del partito condannato a perseguire una politica di destra nazionale e un reduce della Rsi ossessionato dal mito della nobiltà della sconfitta incapace di amministrare una rispettabile pattuglia parlamentare in un momento in cui l’Italia sembrava volgersi a destra. A loro volta, gli scissionisti di Democrazia nazionale avevano il torto di dire cose in parte giuste (le loro posizioni anticipavano il revisionismo che portò alla nascita di An), ma di dirle nel momento e nel modo sbagliato. Fra loro, per altro, c’erano molti esponenti del fascismo storico, di alta levatura culturale, da Ernesto Di Marzio a Gianni Roberti, ma anche reduci della Rsi, come Piera Gatteschi, già comandante delle ausiliarie, ed esponenti di spicco del mondo giovanile, come Pietro Cerullo. L’adesione dell’ex “repubblichino” Tedeschi alla scissione era probabilmente legata alla sua adesione alla P2 di Licio Gelli, ma comunque l’intera operazione si rivelò un fallimento non solo elettorale. Se il “Borghese” sopravvisse fino alla morte del direttore fu probabilmente per gli introiti pubblicitari assicurati da accordi sottobanco con la Democrazia cristiana o per i buoni rapporti di Tedeschi col potentissimo direttore degli Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato. Ma chi scrive – e non solo lui – si rifiuta di credere che egli sia stato davvero uno fra i mandanti della strage di Bologna, come insinuato da una recente indagine giudiziaria che pretenderebbe di processare i morti.

Soprattutto, non sarebbe giusto dimenticare i numerosi meriti non politici ma culturali e umani di Mario Tedeschi. In primo luogo la sua altissima concezione del giornalismo e della professione giornalistica. Un ex redattore del “Borghese” degli anni d’oro mi raccontò che il direttore  e proprietario della testata pagava lo stipendio ai redattori solo per scrivere, in genere un articolo o due a settimana: a impaginare la rivista ci pensava lui, aiutandosi con lo spago, come faceva Longanesi ai tempi di “Omnibus”. Certo, Tedeschi aveva le sue idee e tendeva a imporle ai redattori: memorabile il suo scontro sul Sessantotto con Giano Accame. Il grande scrittore e giornalista tendeva a cogliere gli aspetti positivi di quella rivolta giovanile contro il “sistema” e quando si vide rifiutare dal direttore un paio di volte i suoi articoli poco allineati, abbandonò il settimanale. Fu un peccato, ma occorre riconoscere che in quel caso era Tedeschi ad avere ragione.

Le raffinate pagine culturali

È giusto aggiungere che le pagine e le rubriche culturali del “Borghese” erano di un altissimo livello e la qualità di scrittura impeccabile. Certo, molti lettori incerti se acquistare una rivista osée o un giornale politico optavano per il settimanale di Tedeschi per le patinate pagine interne, a colori, in cui accanto alle foto rubate di notabili Dc con le dita nel naso era possibile contemplare le foto pruriginose di qualche discinta attricetta (riprodotte naturalmente perché i lettori potessero rendersi conto della corruzione dei tempi…). Ma una rubrica di bibliofilia elegante come “La bottega dell’antiquario” di Antonio Pescarzoli basterebbe oggi a nobilitare le pagine di qualsiasi rotocalco. Grazie a Tedeschi e a Claudio Quarantotto le Edizioni del Borghese, con le loro traduzioni delle opere di Paul Sérant, di Brasillach, ma anche del presidente dell’Internazionale liberale Salvador de Madariaga e dello stesso John Kennedy, sprovincializzarono negli anni ’60 il panorama culturale della destra.

Il tributo a Gianna Preda

Lo stesso si potrebbe dire di Gianna Preda. In un’epoca in cui le donne nei periodici erano confinate al ruolo della cronista mondana (o viceversa), Maria Giovanna Pazzagli coniugata Predassi – questo il suo vero nome – inaugurò un giornalismo d’assalto, a volte violento sino alla slealtà, ma efficace. E a riscattare “la Fallaci della destra” dal brutto tiro giocato a La Pira e a Fanfani basterebbe il coraggio con cui affrontò la morte precoce di tumore a sessant’anni da poco compiuti. Fiori per io, il libro di ricordi uscito in coincidenza con la sua scomparsa, raccolse l’apprezzamento anche di coloro che erano stati suoi acerrimi avversari.

Oggi i settimanali non sono apprezzati come una volta dai lettori e anche quelli che progressivamente fagocitarono il pubblico del “Borghese”, come “L’Europeo” o “L’Espresso”, non esistono più o sono ben lontani dai fasti di un tempo. Ma è giusto ricordare con nostalgia una rivista, e soprattutto una destra, che non c’è più, e difficilmente potrà ritornare.

Cultura (di E.Nistri). “Il Borghese” di Longanesi settimanale della migliore destra “Leo-fascista”