Economia

Quaderni di terzapagina

L’ingenuo.

Tu sei un ingenuo perché credi che la politica possa risolvere i problemi. Cercare oggi di cambiare le condizioni di vita del Paese con qualsiasi tipo di politica, è come fare un po’ di pulizie a bordo del Titanic che sta affondando. Tu sei un ingenuo, anche quando credi che un po’ di misticismo di seconda mano ti possa salvare. E allora tu mi dirai: “Non c’è speranza”. No, questo non si può dire. Le risorse dell’uomo sono imprevedibili. Si potrebbe forse cominciare a pensare o anche a operare nel senso di un cambiamento sostanziale dell’animale uomo. Una specie di… mutazione antropologica. Giorgio Gaber, “L’ingenuo parte 2”, 1999

Economia, libri

Il grande reset

Fonte: Italicum

  1. La pandemia si è rivelata una opportunità per realizzare le trasformazioni programmate dal Grande Reset. I soggetti protagonisti di tale trasformazione si identificano dunque con la global class dominante nell’attuale sistema neoliberista globalizzato. Ma quale sarà il destino delle istituzioni democratiche nella prefigurazione di un sistema marcatamente elitario?

Quella in atto è una trasformazione sostanziale dell’assetto politico dei vari Paesi su scala mondiale. Con la strumentalizzazione della dichiarata pandemia, la democrazia, già di fatto ridotta a un ruolo puramente formale e svuotata del suo valore sostanziale, cede in modo definitivo a una forma di governo dei popoli manifestamente autoritaria e basata su una gestione tecnocratica. Ne abbiamo avuto un esempio plastico proprio nel nostro Paese: prendendo a pretesto la presunta emergenza pandemica, è stato impedito al popolo di votare, dando vita a un governo capeggiato da un tecnocrate stimato dai mercati, che riunisce in un calderone unico tutte le forze politiche, senza più alcuna connotazione distintiva né forma di opposizione. Di fatto si tratta di eseguire un piano sovranazionale stabilito e condiviso dall’élite mondialista che non ammette rivendicazioni democratiche.

  1. Il Grande Reset consiste in una programmazione di investimenti nel digitale e nel campo ambientale elaborata dalle élites mondiali dell’economia e della finanza. Il neoliberismo quindi, rinnegando se stesso e le sue radici ideologiche illuministe e liberiste, non si evolve dunque secondo una logica oligarchica di pianificazione centralizzata dell’economia assai simile a quella dei regimi del defunto socialismo reale?

Il neoliberismo, nonostante l’inganno lessicale, di liberale ha davvero poco, se non la libertà di accesso al consumo tramite la rete. Come dichiarato da Klaus Schwab nel piano del Grande Reset, lo Stato attraverso la tecnologia eserciterà il potere e il controllo, garantendo l’ordine grazie all’intesa con i giganti aziendali, veri protagonisti nello scacchiere globale. Saranno loro a garantire un ordine mondiale, di concerto con attori istituzionali sovranazionali e facendo da raccordo tra gli Stati.

Il neoliberismo realmente esistente, a differenza di quello ideologico puro, non è favorevole come dichiara alla libertà dei mercati: esso, al contrario, promuove il predominio delle imprese giganti nell’ambito della vita pubblica.

Di fatto è l’evoluzione del sistema economico ordoliberista, in cui il mercato e la concorrenza sono pilastri imprescindibili, ma non la concorrenza astratta, accademica, che prevede la competizione di una moltitudine di operatori in un contesto di libero accesso al mercato; la partita si svolge tra pochi operatori, accumulatori di grandi capitali, che deflazionano il lavoro e si avvalgono di tecnologie sempre più invasive, in un mercato dove le istituzioni statali rappresentano i guardiani che decidono se il giocatore sia degno di entrare in campo oppure no. Ne deriva un mercato elitario, non accessibile a tutti, ma solo a chi ha il peso e il potere per farne parte, un club esclusivo per pochi eletti, che competono tramite rapporti di forza.

  1. L’automazione, genererà grandi mutamenti nei processi produttivi, con incrementi vorticosi di produttività, ma nel contempo, determinerà grandi decrementi occupazionali per masse di lavoratori. Il progresso tecnologico distrusse in passato alcune professioni, ma in seguito ne generò altre che avrebbero poi riassorbito la disoccupazione. Ma quali nuove forme di occupazione potranno crearsi con il Grande Reset, che è stata concepito proprio in funzione di una automazione dei processi produttivi polarizzata su ristrette e specifiche competenze di un numero assai esiguo di occupati?

Grazie alle “nuove abitudini” introdotte dalle norme restrittive e di confinamento sociale, si sta finalmente realizzando la tanto agognata Quarta Rivoluzione Industriale, incentrata su intelligenza artificiale e rete veloce. Non si tratta semplicemente dell’evoluzione e della fiducia nel progresso della tecnica, che da sempre caratterizza la storia umana, ma piuttosto di una sua deriva. Oggi siamo arrivati a concepire macchine in grado di svolgere le professioni più disparate, non solo quelle manuali ma anche attività concettuali e complesse, dall’assistenza sanitaria al giornalismo. Nelle precedenti rivoluzioni industriali le vecchie professioni sono state rimpiazzate dalla creazione di nuovi lavori, ma nella Quarta, che di industriale ha ben poco, non si profila l’attivazione di un processo compensativo per la creazione.

Nei documenti ufficiali del Grande Reset pubblicati sul sito del Forum di Davos si dichiara esplicitamente che gli attuali mercati rappresentano un ostacolo allo sviluppo dei nuovi, basati prevalentemente su intelligenza artificiale, farmaceutica, big data, green economy e finanza speculativa a essa collegata, nonché riqualificazione del personale. Quest’ultimo comparto prevede che il lavoratore provveda continuamente ad aggiornare e rivedere le sue competenze, con una pressione al cambiamento tale che la mente umana difficilmente potrà tollerare. In generale, a fronte di una desertificazione del tessuto produttivo che genererà milioni di nuovi disoccupati, i nuovi mercati sono per lo più a bassa intensità di capitale umano.

Ci troveremo ad affrontare il problema del senso di inutilità da parte di un’enorme nuova massa di disoccupati.

  1. La rivoluzione tecnologica del Grande Reset si tramuterà in un progetto di ingegneria sociale che coinvolgerà l’intera società. L’avvento dell’intelligenza artificiale potrebbe condurre ad una mutazione antropologica dell’uomo da essere sociale ad essere virtuale. L’innovazione, comportando nuove dipendenze tecnologiche, non potrebbe quindi generare, anziché il benessere e l’emancipazione, come nei secoli scorsi, una regressione generalizzata, oltre che delle condizioni economico – sociali, anche delle facoltà intellettive e creative dell’intera umanità?

Come afferma Klaus Schwab, il fondatore del Forum di Davos, la Quarta Rivoluzione Industriale e il potenziamento dell’intelligenza artificiale a essa associato cambieranno non solo ciò che facciamo ma anche ciò che siamo. Con la progressiva sostituzione delle relazioni personali con quelle virtuali e l’adozione della nuova normalità, indotta dalle restrizioni e dal confinamento, l’uomo sarà sempre più solo e la sua vita sempre più alienata dal contesto sociale. La connessione costante alla rete, lo smartworking come nuova modalità lavorativa, il telesport, la telemedicina e addirittura la teledidattica, lo porteranno a vivere in simbiosi con i dispositivi digitali, in un internet delle cose che collega tutto e rende ogni nostro gesto tracciabile. Non solo ogni azione avviene attraverso gli strumenti tecnologici, ma persino la nostra attività decisionale è demandata a un algoritmo, capace e autorizzato a scegliere al nostro posto in ogni sfera della nostra vita. Se da una parte questo porterà inevitabilmente a una regressione cognitiva e antropologica, alcuni dei cosiddetti visionari del nuovo mondo hanno già previsto come farvi fronte: con un’ibridazione uomo-macchina che permetterà all’intelligenza umana di espandersi di miliardi di volte. Uno scenario degno di un film distopico, da scongiurare in ogni modo, ma in linea con la visione del nuovo mondo.

  1. Nel mondo del post – COVID prefigurato da Klaus Schwab, si riproporranno i problemi di giustizia sociale, diseguaglianze e degrado ambientale già presenti nella fase pre – pandemica. Secondo Schwab il Grande Reset consisterebbe, oltre che in una rivoluzione economica e tecnologica, anche in una rigenerazione morale del sistema capitalista.  Ma non si comprende come le istanze keynesiane ed etico – morali di trasformazione della società, siano compatibili con il darwinismo sociale imposto dalla distruzione creativa. Non è inoltre assurdo che i protagonisti di questa rivoluzione siano proprio le oligarchie dominanti, già resesi responsabili del degrado morale e materiale in cui versa l’attuale mondo globalizzato?  

Decisamente lo è, ma siamo finiti nei tempi della dissonanza cognitiva eletta a verità, grazie a un lavoro sapiente e metodico di lavaggio del cervello e manipolazione delle masse che, attraverso la strumentalizzazione terroristica del Covid, ha raggiunto un livello inaudito. La popolazione, ipnotizzata dalla tv e dalla narrazione unica, è pronta a credere che 2+2=5 e a osannare chi lo sostiene. 

a cura di Luigi Tedeschi

Economia

Presi per il PIL

Siamo circondati da statistiche sulla crescita economica. Un numero in particolare detta legge nelle società contemporanee: il Prodotto interno lordo (Pil). Ma cos’è davvero il Pil? Chi ci guadagna quando cresce e chi ci rimette? Lorenzo Fioramonti svela tutti i segreti del “numero più potente del mondo”. Con una narrativa chiara e accattivante, l’autore racconta per la prima volta la storia del Pil e di come i suoi stessi creatori abbiano messo in guardia la politica sull’uso indiscriminato che se ne può fare. “Presi per il Pil” analizza pionieristicamente le falle, le omissioni e le conseguenze politiche di un modello di crescita che sta distruggendo il mondo.

Presi per il PIL. Tutta la verità sul numero più potente del mondo

Lorenzo Fioramonti

0 recensioni
Scrivi una recensione
Con la tua recensione raccogli punti Premium
pagabile con 18App pagabile con Carta del Docente

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Collana: Le api
Anno edizione:2017
In commercio dal:16 marzo 2017
Pagine:193 p., Brossura
  • EAN: 9788864434018
  • IBS.it
Economia

Cosa è “scientifico”

Questo mi porta a chiudere il cerchio con Beatrice e Sidney Webb, i fondatori della London School of Economics and Political Science, dove Besley e Burgess lavorano, i quali hanno sostenuto esattamente la visione opposta, dicendo che “ciò che è più urgentemente necessario… è un’estensione del forte braccio della legge a protezione dei lavoratori oppressi nelle difficili trattative” (Webb and Webb 1902, p. xvii). I Webbs hanno sostenuto i salari minimi, il determinare un limite massimo delle ore lavorative, e un consistente aumento del potere dei lavoratori di contrapporsi per metter fine al parassitismo dei datori di lavoro, e spingendo per portare la “democrazia” nell’industria attraverso i sindacati e la contrattazione collettiva.  E questo è quanto, per il progresso dell’ economia.

 

Bibliografia

 

Baccaro, L. and D. Rei. 2007. ‘Institutional determinants of unemployment in OECD countries: does the deregulatory view hold water?’ International Organization 61 (3): 527-569.

 

Besley, T. and R. Burgess. 2004. ‘Can labor regulation hinder economic performance? Evidence from India.’ Quarterly Journal of Economics 119 (1): 91-134.

 

Besley, T. and R. Burgess. 2019. Economic Organisation and Public Policy Programme (EOPP) Indian States Datahttp://www.lse.ac.uk/economics/people/personal/eopp-indian-states-data

 

Bhattacharjea, A. 2006. ‘Labor market regulation and industrial performance in India. A critical review of the empirical evidence.’ The Indian Journal of Labor Economics 49 (2): 211-232.

 

Botero, J., S. Djankov, R. La Porta, F. Lopez-de-Silanes and A. Shleifer. 2004. ‘The regulation of labor.’ Quarterly Journal of Economics 119: 1339-1382.

 

Chatterjee, U. and R. Kanbur. 2015. ‘Non‐compliance with India’s Factories Act: Magnitude and

patterns.’ International Labor Review 154 (3): 393-412.

 

D’Ippoliti, C. 2018. ‘‘Many-citedness’: citations measure more than just scientific impact.’ INET Working Paper No. 57. New York: Institute for New Economic Thinking. https://www.ineteconomics.org/uploads/papers/WP_57-DIppoliti-revised.pdf

 

D’Souza, E. 2010. ‘The employment effects of labor legislation in India: a critical essay.’ Industrial Relations Journal 41 (2): 122–35.

 

Ferguson, T. and R. Johnson. 2018. Research Evaluation in Economic Theory and Policy: Identifying and Overcoming Institutional Dysfunctions. Policy Brief to the G20 Argentina. Discutibile su: https://www.g20-insights.org/policy_briefs/research-evaluation-in-economic-theory-and-policy-identifying-and-overcoming-institutional-dysfunctions/

 

Howell, D., D. Baker, A. Glyn and J. Schmitt. 2007. ‘Are protective labor market Institutions at the root of unemployment? A critical review of the evidence.’ Capitalism and Society 2 (1): 1-73.

 

IMF. 2016. ‘Time for a supply side boost? Macroeconomic effects of labor and product market reforms in advanced economies.’ World Economic Outlook 2016. Washington, DC: IMF. pp. 101–142.

 

Jayadev, A. and A. Narayan. 2018. ‘The evolution of India’s industrial labor share and its correlates.’ CSE Working Paper 2018-4. Azim Premji University: Centre for Sustainable Employment.

 

Kanbur, R. and L. Ronconi. 2016. ‘Enforcement matters: the effective regulation of labor.’ CEPR Discussion Paper No. 11098. Disponibile su: https://cepr.org/active/publications/ discussion_papers/dp.php?dpno=11098

 

Karak, A. and D. Basu. 2019. ‘Profitability or industrial relations: what explains manufacturing performance across Indian states?’ Development and Change, forthcoming.

 

Roychowdhury. 2014. ‘The labor market flexibility debate in India: Re‐examining the case for signing voluntary contracts.’ International Labor Review 153 (3): 473-487.

 

Storm, S. and J. Capaldo. 2018. ‘Labor institutions and development under globalization.’ INET Working Paper No. 76. New York: Institute for New Economic Thinking. https://www.ineteconomics.org/uploads/papers/WP_76-Storm-and-Capaldo-Final.pdf

 

Vergeer, R. and A. Kleinknecht. 2012. ‘Do flexible labor markets indeed reduce unemployment? A robustness check. Review of Social Economy 70 (4): 1-17.

 

Webb, S. and B. Webb. 1902. Problems of Modern Industry. New York, NY: New World

 

World Bank. 2005. World Development Report 2005: A Better Investment Climate for Everyone. Washington, DC: World Bank.

 

World Bank. 2008. Doing Business: An Independent Evaluation Report. Washington, DC: World Bank.

 

 

Servaas Storm è un economista e saggista olandese (Università di Delft); lavora nel campo della macroeconomia, del progresso tecnologico, della distribuzione del reddito & crescita economica, finanza, sviluppo e riforme strutturali e cambiamento climatico.

Economia, libri

Il valore di tutto

Al cuore della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni c’è un problema evidente: nel moderno capitalismo l’estrazione del valore, ovvero la raccolta dei profitti – dai dividendi degli azionisti ai bonus dei banchieri – è ricompensato assai meglio della creazione effettiva di valore. Oggi scambiamo chi raccoglie i profitti con chi effettivamente crea valore, chi guadagna con chi produce. Quel concetto di valore così centrale nella storia del pensiero economico – basti pensare alle riflessioni di Ricardo, Marx, Schumpeter e Keynes – oggi è misconosciuto o distorto tanto nella teoria quanto nella prassi. Se vogliamo riformare il capitalismo dobbiamo porci una serie di domande radicali: da dove viene la ricchezza? Chi crea il valore? Chi lo estrae? Chi lo sottrae? Solo rispondendo a queste domande possiamo sostituire l’attuale sistema capitalistico di tipo parassitario con un capitalismo più sostenibile, più interdipendente: un sistema che funzioni per tutti. Con questo libro Mariana Mazzucato riaccende un dibattito indispensabile sul mondo in cui vorremmo vivere.

Economia

La scelta è politica

  1. Se emetti CCT, tramite Poste, CassaDepositi e MontePaschi che sono controllati dallo Stato e smetti di emettere BTP su cui c’è la spread chi ci rimette ? Le altre banche, Unicredit ecc che rifilano ai risparmiatori i loro prodotti – Le Banche e fondi esteri che coi BTP hanno 3% e speculano.”

Perché allora non lo si fa ? Perché per Unicredit, Intesa, UBI ecc sarebbe un salasso, di colpo tutte le porcherie di fondi e prodotti strutturati “garantiti” e polizze che vendono al pubblico verrebbero spiazzati dai CCT a rischio zero e rendimento che copre l’inflazione…

Qui finisce il thread. Come noterete, Zibordi insiste a chiamare col femminile “la spread”, mentre a mio parere  è un neutro anglosassone. Ma non m’impunterei su questo.

Non sono in grado di giudicare l’idea di Grossi e Zibordi sui CCT. Vedo che alcuni twitterologhi  ne discutono l’efficacia, e mi va bene:le idee sono essenzialmente discutibili, proprio per questo vanno discusse. Monti, Ciampi, Draghi non si sono mai esposti a discussione, ed ecco i risultati.

Fatto sta che dal twitterologo  io imparo molto, e non farà  male nemmeno a voi seguirlo. Ha scritto con altri questi volumi:

Di altri twitterologi sapienti che ho scoperto vi parlo fra qualche giorno.

 

L’articolo ESISTE UN METODO PER SFUGGIRE ALLO SPREAD? proviene da Blondet & Friends.

Economia

La Matrix europea

  •   E’ l’anno della riunione sul Britannia quando il gotha della finanza internazionale attracca a Civitavecchia con uno yacht della Corona inglese. Sono venuti a ridisegnare il capitalismo in italia a danno degli italiani, a fare incetta delle nostre migliori aziende e ad arruolare quelli che saranno i loro fedeli servitori al Governo del paese a cui garantiranno incarichi di prestigio: il maggior beneficiario sarà Mario Draghi ma tra i più servili Prodi, Andreatta, Ciampi, Amato, D’alema. I primi 3 erano già entrati a pieno titolo nelle organizzazioni del capitalismo speculativo anglo/americano che aveva deciso di attaccare e conquistare  il nostro paese con l’appoggio di spietate banche d’affari come la Goldman Sachs che favorirà gli incredibili scatti di carriera dei suoi ex dipendenti:  Prodi e Draghi prima e Mario Monti dopo.

E’ l’anno in cui in soli 7 giorni cambiano il sistema monetario italiano che viene sottratto dal controllo del Governo e messo nelle mani della finanza speculativa. Per farlo vengono privatizzati gli istituti di credito e gli enti pubblici compresi quelli azionisti della Banca D’Italia, è l’anno in cui viene impedito al Ministero del Tesoro di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (costo del denaro alla sua emissione) che viene quindi ceduto a privati. E’ l’anno della firma del Trattato di Maastricht e l’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità.
Bisognava passare alle aziende di Stato, l’attacco speculativo di Soros che aveva deprezzato la lira di quasi il 30% permetteva l’acquisto dei nostri gioielli di Stato a prezzi di saldo e così arrivarono gli avvoltoi.
La maggior parte delle nostre aziende statali strategiche passò in mano straniera o comunque fu privatizzata. Ma la cosa più eclatante fu che l’IRI (istituto di ricostruzione industriale) che nella pancia alla fine degli anni ’80 aveva circa 1000 società, fiore all’occhiello del nostro paese fu smembrata e svenduta con la complicità del suo Presidente storico Romano Prodi (dal 1982 al 1989 e durante un periodo tra il 1993 ed il 1994) che fu premiato dal Cartello che favorì la sua ascesa alla Presidenza del Consiglio  in Italia e poi alla Commissione Europea. A sostituirlo come Presidente del Consiglio in Italia e a continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato ci penserà Massimo D’Alema che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno.

Le carte ci dicono che in quegli anni il Presidente dell’IRI era tale Gian Maria Gros-Pietro.
Lo conoscevate ? Io credo di no. Invece il Cartello finanziario speculativo lo conosceva bene e nel 2001 lo convocò alla riunione del Bilderberg in Svezia, indovinate insieme a chi ? Insieme a Mario Draghi e ad un certo Mario Monti entrambi saranno ampiamente ripagati dal Cartello stesso che in futuro riuscì a piazzare Draghi alla Banca d’Italia e poi alla  BCE e Mario Monti dalla Goldman Sachs alla Commissione Europea e poi a capo del Governo (non eletto) in Italia.

E che cosa ne è stato di Gian Maria Gros Pietro ? qui viene il bello. Qui arriviamo al tema di questo post.
Gian Maria Gros-Pietro, che già nel fatidico 1992 era Presidente della Commissione per le Strategie industriali nelle privatizzazioni del Ministero dell’Industria, nel 1994 diviene membro della Commissione per le Privatizzazioni istituita indovinate da chi ? da Mario Draghi. Ora capite come lavora il Cartello finanziario speculativo per mettere tentacoli ovunque e per far si che ci sia sempre un proprio esponente nei ruoli chiave. Ma non finisce qui. Come abbiamo visto nel 1997 Gross Pietro è Presidente dell’Iri mentre viene organizzata la cessione a prezzi di saldo di Autostrade per l’italia che avverrà nel 1999 col passaggio al Gruppo Atlantia s.p.a, controllata da Edizione srl, la holding di famiglia dei Benetton.
Gros-Pietro firma la cessione.
Ora immaginate l’inimmaginabile.
Cosa accade nel 2002 ? Gian Maria Gros-Pietro, dopo aver gestito la privatizzazione dell’Eni andrà a presiedere per quasi 10 anni indovinate che cosa?… proprio la Atlantia S.p.a, la società alla quale solo tre anni prima, come dipendente pubblico, aveva svenduto la gestione dei servizi autostradali italiani.
Le jeux sont fait.

https://www.maurizioblondet.it/20747-2/

Economia

Neoliberismo e povertà

di Ilaria Bifarini – 25/07/2018

Neoliberismo e povertà

Fonte: Ereticamente

Ogni tanto, tra le varie notizie di propaganda che dipingono un paese irreale, in cui un aumento quasi impercettibile del Pil – peraltro stimato- e una diminuzione lievissima del tasso di disoccupazione attualmente alle stelle -perlopiù legata a fattori stagionali- vengono spacciati per crescita, trapela qualche dato reale sullo stato di salute del Paese. Uno di questi è quello divulgato ieri dall’Istat -e precedentemente anche dall’OCSE – sul livello di disuguaglianza interno alla popolazione: mentre una fascia ristretta della popolazione diventa sempre più ricca la schiacciante maggioranza si impoverisce. In un solo anno, dal 2015 al 2016, la percentuale di italiani a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 28,7% al 30%.

Il trend non è solo a livello nazionale, ma rispecchia una tendenza globale in atto già da decenni ed è strettamente collegato alla modello “di sviluppo” neoliberista e alla finanziarizzazione dell’economia ad esso connessa. Se osserviamo i valori relativi al reddito medio del 99% della popolazione più povera e dell’1% più ricco, osserviamo come i primi siano cresciuti fortemente a partire dal dopo guerra fino agli anni 70, contro un ritmo più moderato del secondo gruppo. Improvvisamente il trend si inverte, inizia il rallentamento della ricchezza del 99% più povero (cioè la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, cioè noi) a fronte di un’impennata del reddito dell’1% più ricco.

Cosa accade in questi anni? Di certo non è casuale che proprio il 1973, anno della crisi petrolifera e della conseguente stagnazione, segni la data di morte del keynesismo e il trionfo indiscusso della dottrina neoliberista. L’economia reale lascia il passo alla finanza, che diventa sempre più predatoria e totalizzante, l’apertura al commercio mondiale diventa sempre più completa e priva di protezioni statali, l’inflazione e il debito pubblico diventano i nemici giurati mentre l’austerity il nuovo culto. L’indice di Gini, che misura il livello di disuguaglianza all’interno di una popolazione, cresce su scala globale, come riflesso di un modello economico fallimentare e infondato applicato a livello universale. In uno studio effettuato sul caso degli Stati Uniti è stato stimato che una crescita del 2% del Pil comporta una decrescita del reddito del 90% della popolazione.

Siamo dunque di fronte a un modello economico di crescita antisociale in cui all’aumento del reddito globale corrisponde un impoverimento della quasi totalità della popolazione, ad eccezione di una ristretta fascia di élite che si fa sempre più esclusiva.
Basti pensare che nel 2012 metà della ricchezza mondiale era concentrata in soli 64 individui. Oggi la stessa ricchezza è detenuta da un manipolo limitatissimo di otto persone. D’altronde le proiezioni dell’OCSE sul lungo periodo parlano chiaro: saremo sempre più poveri e più diseguali, tanto che da qui a una quarantina d’anni il tasso di disuguaglianza aumenterà del 40%.

La correlazione con il modello economico neoliberista, e in particolare con il mantra dell’austerity, è talmente evidente che persino il Fondo Monetario Internazionale, l’istituzione icona delle politiche neoliberiste, in un suo studio (Neoliberalism Oversold, IMF, 2016) ha dovuto riconoscere la fallacia di questa politica. È stato calcolato che in media un consolidamento del debito pari all’1% del Pil aumenta dello 0,6% il livello di disoccupazione di lungo termine e fa crescere dell’1,5% in cinque anni il tasso di disuguaglianza!

Secondo gli economisti del Fondo monetario, le politiche di austerity non solo, infatti, comportano costi per il welfare, ma danneggiano anche la domanda, aggravando così il problema della disoccupazione, in un circolo vizioso che aumenta la disuguaglianza, nonché la corruzione a essa correlata. Non è infatti difficile comprendere come l’élite di privilegiati eserciti un potere sempre maggiori su una fascia sempre più alta della popolazione a rischio povertà, disposta ad accettare le logiche clientelari per sopravvivere…

Nonostante l’evidenza dimostrata sia dagli studi economici sia dai dati inconfutabili della realtà, gli organismi economici sovranazionali che governano il mondo continuano ad applicare le stesse rovinose politiche economiche, che risultano altamente efficaci e redditizie per quell’1% della popolazione, che pure va sempre più restringendosi e divenendo sempre più élitarista al suo interno. Il paradosso economico è divenuto realtà.

Ilaria Bifarini (http://ilariabifarini.com/)

è nata a Rieti l’1 aprile del 1980 e si è diplomata al Liceo classico “Terenzio Varrone”. Dopo essersi trasferita nel 1999 a Milano, nel 2004 si è laureata col massimo dei voti in Economia della Pubblica amministrazione e delle Organizzazioni internazionali all’Università “Luigi Bocconi” di Milano. In seguito ha frequentato la Scuola Italiana per le Organizzazioni Internazionali di Roma ed il Corso di Liberalismo presso l’Istituto “Luigi Einaudi” di Roma. Ha conseguito inoltre l’abilitazione alla professione di dottoressa commercialista e revisore contabile. Dopo esperienze professionali nel pubblico e nel privato, attraverso un cammino fatto di studio ed introspezione, si è via via discostata dalla formazione prettamente neoliberista derivante dai miei studi. Nel 2017 ha pubblicato il mio primo libro, “Neoliberismo e manipolazione di massa – Storia di una bocconiana redenta”, iniziando ad impegnarmi concretamente nello smascheramento dell’inganno neoliberista. A distanza di un anno è uscito il mio “I coloni dell’austerity. Africa, neoliberismo e migrazioni di massa” (https://www.amazon.it/coloni-dellausterity-Africa-neoliberismo-migrazioni/dp/1980621195/ref=sr_1_2?ie=UTF8&qid=1521981805&sr=8-2&keywords=bifarini), dove porto avanti il cammino di ricerca intrapreso e analizzo le cause dell’attuale fenomeno migratorio attraverso una chiave di lettura inedita e sconosciuta al mainstream.

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=60796

Economia

Luciano Gallino

La crisi che stiamo vivendo è stata sovente rappresentata come un fenomeno naturale imprevedibile: un terremoto, uno tsunami. Oppure come un incidente capitato a un sistema, quello finanziario, che di per sé funzionava perfettamente. In realtà è stata il risultato di una risposta sbagliata, di ordine finanziario, che la politica ha dato al rallentamento dell’economia reale in corso da lungo tempo. E non, come afferma Bruxelles, il prodotto del debito eccessivo che gli Stati avrebbero contratto a causa della crescente spesa sociale. Al contrario è stato favorito lo sviluppo senza limite delle attività speculative dei grandi gruppi finanziari. Avere lasciato il potere di creare denaro per nove decimi alle banche private è un difetto che sta minando alla base l’economia. E questo con la complicità dell’intero sistema politico e finanziario (la Bce, la Fed, la Banca d’Inghilterra, i fondi speculativi e quelli sovrani, i governi e la Commissione europea). Poche decine di migliaia di individui, i responsabili, contro decine di milioni di vittime. Senza contare che per rimediare ai guasti del sistema finanziario le politiche di austerità stanno generando pesanti recessioni: nell’intento di proseguire con ogni mezzo la redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto in atto da oltre trent’anni.

Luciano Gallino non era un euroscettico. Considerava l’Unione Europea la più grande invenzione politica, civile ed economica degli ultimi due secoli. Ma vedeva con sofferenza questa Europa ridotta al servizio delle potenti lobbies della finanza e delle banche, portavoce delle maggiori élites europee a scapito dei diritti fondamentali della grande maggioranza dei cittadini e, cosa ancor più grave, culla di un’inarrestabile redistribuzione del reddito e della ricchezza dal basso verso l’alto, con la conseguente crescita delle disuguaglianze. Era sua convinzione che le politiche economiche e sociali dettate dai mercati finanziari hanno portato gli Stati a una cessione di sovranità in materia di spesa per protezione sociale, scuola, università, quota salari sul Pil, contratti di lavoro e molto altro ancora. L’euro si è così trasformato nello strumento della vittoria del neo-liberismo su ogni altra corrente di pensiero. A causa di un’errata interpretazione della recessione, il peso esorbitante del sistema finanziario non ha avuto un freno, le relazioni industriali sono arretrate, i sindacati sono stati ridimensionati, la mancanza di occupazione mostra il profilo di una catastrofe sociale. Prima che gli effetti del dissennato ‘Patto fiscale’ facciano scendere una cappa soffocante di miseria sulle prossime generazioni, Luciano Gallino elenca i modi concreti per uscire dall’euro, rimanendo l’Italia paese membro dell’Unione europea.

Economia, libri

Italia-Germania

Il libro può essere quello dell’ordinario di Politica Monetaria e Fiscale dell’università di Siena,  Sergio Cesaratto , “Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, doppie morali dell’euro” (Imprimatur, 124 pagine, 14 euro).

 

l libro dimostra proprio quel che dice nel titolo, che la Germania infrange costantemente,  e sempre a proprio vantaggio, le   regole di una unione monetaria; che impone normative  assurde,  che avvicinano la destabilizzazione delle economie deboli, invece di scongiurarle; che  vuole “ottenere la disciplina” dei paesi con alto debito, come l’Italia, “accrescendone la possibilità di una crisi finanziaria”, e  pretende di “stabilizzare i mercati avvicinando il loro breaking point”, come ha scritto Walter Munchau del Financial Times, quindi è persino negativo a conseguire i fini che si propone, il risanamento e la prosperità.

http://vocidallestero.it/2018/05/08/munchau-sul-ft-il-bilancio-della-germania-una-sciagura-in-arrivo/