Letteratura, memorie

In prospettiva

Elbridge Colby, già consigliere di Trump al Pentagono, aiutandolo a concepire la sua strategia nazionale di difesa, nel suo nuovo libro “La strategia del Diniego: la difesa americana in un’era di conflitti tra grandi potenze” avanza l’idea [in inglese] di una politica estera che si lasci alle spalle definitivamente l’era post 11 Settembre. Il circolo esterno della “periferia” si riduce ad una tecno-funerea gestione oltre “l’orizzonte lontano”, e le “province vicine dell’impero”, come l’Europa, perdono importanza rispetto al confronto con la Cina. Concentrarsi sull’Iran e la Corea del Nord, afferma Colby, è semplicemente fuorviante.

Quello di Colby è un “libro realista, incentrato sulle intenzioni di dominio cinese in Asia, descrivendole come la minaccia più grave nel XXI secolo”, scrive [in inglese] Ross Douthat nel New York Times:

Tutte le altre sfide diventano secondarie. Solo la Cina minaccia gli interessi americani in maniera così profonda, e mediante il consolidamento del suo potere economico in Asia mette in pericolo la nostra prosperità, e mediante una possibile sconfitta militare che potrebbe sconquassare il nostro sistema di alleanze. Perciò la politica americana dovrebbe prefiggersi il blocco dell’egemonia regionale di Pechino e dissuadere i suoi possibili avventurismi militari in primo luogo con un impegno più forte in difesa di Taiwan.

La Strategia del Diniego è la versione senza orpelli sentimentalistici di un consenso che si sta rapidamente consolidando a Washington. Il discorso di Biden, che giustifica il ritiro dall’Afghanistan come fine di una politica di costruzione delle nazioni e di un maggiore impegno sul fronte dell’anti-terrorismo, dice in modo forse meno diretto le stesse cose di Colby.

estratto da https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-guerra-fredda-con-la-cina-dissolvera-il-collante-dell-america

Dal momento che, per fortuna, non siamo americani, impariamo a cercare da noi la nostra strada!

memorie

Ricordi

Quello di oggi non si compra, ve lo regalo io:

https://bondeno.wordpress.com/2021/10/18/ricordi-di-scuola/

Lo potete scaricare gratuitamente dal link di cui sopra: la copertina è tratta da Conoscere, mitica enciclopedia a dispense che mi onoro di possedere (avendola acquistata all’epoca); descrive con cognizione di causa , essendomi poi laureato in Sociologia dell’educazione, i miei anni di liceo classico (Ariosto a Ferrara)

Non casualmente il lavoro si interseca con quello, sempre mio, sugli anni ’60 di cui parlo nel blog omonimo https://anni60.info/

libri, memorie

L’odore delle bugie

Fonte: EreticaMente

Le bugie hanno un odore acre e penetrante. L’aria ne è satura, i suoi miasmi penetrano ovunque. Persino in Vaticano, tra intrighi curiali e fumi d’incenso, si respira un greve tanfo di menzogne. I più non lo avvertono, essendo pseudofagi. Si cibano di bugie, e il loro olfatto vi è ormai abituato. Anzi, sono convinti che l’informazione ufficiale fornisca ogni giorno nuove razioni di sacrosanta verità.
Le bugie son composte di atomi, molecole, tessuti. Quando giungono a formare un intero organismo diventano ‘versioni ufficiali’, di natura pubblica o privata. Nella prima son contenuti i tipici olezzi del giornalismo ufficiale, della medicina ufficiale, della storia ufficiale, della religione ufficiale, dei comunicati ufficiali e così via.
Molti credono a tali esposizioni dei fatti perché affetti da una sorta di neotenia spirituale. Anche in età adulta conservano tratti di soggezione infantile nei confronti di esperti e autorità. Ne fanno le ipostasi di potenti e onniscienti Genitori, con conseguenze nefaste nella comprensione della realtà. Questi pseudo-genitori infatti non hanno scrupoli nel mentire. Paradigmatico è il recente caso della pseudo-pandemia, questa sorta di fiaba ipnotica e angosciante, apoteosi della ‘versione ufficiale’ e del suo carattere manipolatorio.
Ogni manifestazione ufficiale di carattere scientifico, morale o culturale, ha per i più natura apodittica, potenza oracolare. Ma tale fenomeno ha le sue prime origini nel privato. La versione ufficiale nasce come elaborazione dell’immagine di sé. È una specie di film in cui ognuno proietta la sua vita. Quando lo mostra agli altri ne taglia alcune scene, altre le modifica. Ma anche la copia per sé fa ampio uso di invenzioni e specchi deformanti.  Perché in realtà l’uomo ha bisogno di mentire a sé stesso prima che agli altri.
Così, ogni società composta di bugiardi deve di necessità mentire a sé stessa. I valori che esibisce sono ipocrite foglie di fico. La Versione Ufficiale, nata da una rimozione psichica, diviene prassi del mentirsi l’un l’altro, il conformismo della falsità. È l’intreccio di forze suggestive e autosuggestive; rappresentazione di sé con cui la società e gli individui che la compongono, in modo solidale, sostituiscono i fatti con versioni ad hoc.
La bugia è la più elementare e diffusa forma di potere perché permette a chiunque un controllo sulla realtà. Presenta un doppio vantaggio: illudere ed essere illusi. Col tempo il mentire forma un blocco compatto, la cui stabilità poggia sulla coerenza delle bugie che ne formano la base. Diviene così fondamento della personalità individuale e dei vari statuti sociali. Come un ammortizzatore, stempera gli attriti tra la coscienza e il reale.
La ‘versione ufficiale’ non è una copertura superficiale della verità. Se scavassimo, troveremmo altre bugie. Vi sono persone e società che mentono a sé stesse per nascondere una bugia più profonda che ne copre un’altra più profonda ancora. Forse esiste una Menzogna Madre, radicale e originaria. O forse la vita è come una cipolla, strati di bugie senza un nocciolo. Cercando potremmo forse scoprirlo, ma l’attenersi alle versioni ufficiali provoca un’atrofia progressiva nell’organo della realtà.
Se capita che qualcuno si metta a cercare è perché le bugie, a lungo andare, possono creare sofferenza. Se una bugia ne contraddice un’altra, se un complesso di bugie entra in conflitto con un altro, si incrina quella stabilità interiore fondata su un auto-inganno armonico, e si manifestano delle crepe, ossia disturbi psichici di natura personale o collettiva.
In tal caso si può prendere coscienza della propria inautenticità e intraprendere una dolorosa discesa agli inferi, negli abissi della realtà negata. Il primo passo verso la verità è smantellare le versioni ufficiali, quelle di dominio pubblico come quelle più personali. Si ritorna così gradualmente pseudo-sensibili e si impara nuovamente a riconoscere l’odore della bugia. Questo però costa tempo e fatica. Più comodo è inventarsi nuove bugie o puntellare quelle vecchie. Psicoterapie o artifici intellettuali possono rimpiazzare le menzogne traballanti con altre più solide e funzionali.
La versione ufficiale coincide in sostanza con la difesa di una identità. Non fidarsene significherebbe aprirsi a dubbi esistenziali. Governo, sanità e mass media non potrebbero ammannirci ogni giorno fanfaluche su contagi e vaccini se la gente non conservasse nel fondo dell’anima questa colpevole abitudine di fuggire la verità, di illudersi. È per questa tacita connivenza col falso che la gente si piega docilmente ai decreti; trova sensati protocolli assurdi, ed è pronta a consegnare la sua vita nelle mani di manipolatori scientifici senza scrupoli. E non si può dire se goda più chi inganna o chi è ingannato.
Alla gente non interessa la verità, non la cerca, ne ha paura. La rassicurano solo le versioni ufficiali. Ne ha bisogno come di una droga. Senza, potrebbe dubitare di esistere. Si guarda bene dal verificarne l’autenticità, dal vederne la fallacia o l’incoerenza. Il suo equilibrio mentale si fonda sulla complicità tra le bugie del Sistema e le sue. Prova quindi un’animalesca ostilità verso chi le metta in discussione. Teme chi minacci di smascherare la sua collusione con un sistema strutturalmente falso. Non si confronta sul piano dei fatti oggettivi, dove fiuta una minaccia per la sua bolla psicologica. Si limita a esorcizzare con formule magiche o con scomuniche ufficiali ogni forma di pensiero divergente. E definisce ‘negazionismo’ ciò che nega la sua negazione della realtà.
La nostra società, secondo vecchi canoni totalitari, si difende dai dissidenti classificandoli come casi patologici. Nel definirli ricorre alle solite infamanti etichette: “negazionisti, complottisti”. Per confutarli non porta prove reali ma sentenzia ex cathedra che i loro argomenti sono deliranti o farneticanti. Termini che suonano come anatemi e scongiuri, e rivelano la sua isterica paura della verità.
In fondo, la Versione Ufficiale è una religione, e oggi un esercito di chierici fa muro per proteggerne il dogma. Politici, medici, giornalisti, son tutti mossi da un’apparente preoccupazione per il bene comune. Mentono, e lo si vede benissimo. Ma la sensibilità comune non lo nota, essendo ostruita da vecchi coaguli di bugie. Eppure, in quei paladini dell’ufficialità, è evidente il conflitto tra la maschera e il volto, la frattura tra la coscienza e l’inconscio. Occorrono anni di ferrea, gesuitica disciplina, oltre a un eccezionale talento, per celare questi intimi dissidi. E i nostri pubblici bugiardi non sono certo dei Mazzarino.
Prendete un politico noto. La mimica innaturale, l’affettazione della voce, ogni parola tradisce in lui la falsità. Ma anche fosse maestro nel simulare e nel dissimulare, abile nell’illudere occhi e orecchi, non potrebbe ingannare un olfatto sano. Non il senso fisico, ma un organo più sottile, un naso spirituale. Allora, se anche cercasse di coprire il fetore delle bugie in un’aura profumata, pensereste di lui ciò che Napoleone diceva di Talleyrand: “merda in calze di seta”.

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-odore-delle-bugie

memorie

Memorie

Mio padre, appena tornato, dovette ripartire per fare il militare, perché la guerra fatta come paracadutista dalla parte della Rsi non contava. Ironia della sorte, era capitato nella leva di mare, quindi due anni ancora. Suo padre si era ammalato durante la Guerra d’Africa e per curarsi aveva bisogno di alcune fiale costosissime, che in quel periodo la famiglia non si poteva permettere. Allora papà decise che, siccome doveva farsi altri due anni sotto le armi, tanto valeva usarli bene… Così diventò sommozzatore e andò a sminare i porti di tutt’Italia, attività pericolosissima ma con un indennizzo in denaro sonante: in pratica, ogni mina valeva una scatola di medicine per mio nonno.
Alla fine della fiera, mio padre non ci lasciò le penne e mio nonno nemmeno. Il fratello di papà, invece, sì.
Zio Carlo era stato ammazzato da partigiani festanti il 25 aprile del 1945, in quel di Verona. E il corpo, come quello di migliaia d’altri, non è mai stato ritrovato.
«Sentirsi come un cane, di tuo una divisa/ due gladi ed il tuo onore, un cuore una ferita»…
Poco tempo fa sono stato a trovare Giuliano, uno degli amici di mio padre, forse quello che gli era più vicino, per chiacchierare un po’ di lui… Finimmo a parlare di zio Carlo…
«Carlo c’era venuto a trovare a Ciriè… sarà stato metà febbraio del ’45… Ormai stavamo alla fine, quindi gli avevamo detto di restare con noi… Sai, alla Folgore eravamo bene armati e compatti… tant’è che nessuno ci ha tolto le armi… quindi con noi sarebbe stato più sicuro. Con noi si sarebbe salvato».
«E perché non è rimasto con voi?».
«Perché non se l’è sentita di lasciare i suoi camerati… tuo padre aveva insistito, ma lui aveva sorriso, sapendo perfettamente come zittirlo: “A Guglie’, tu li abbandoneresti Giuliano e gli altri?”… E infatti tuo padre non aveva potuto fare altro che abbracciarlo, pregando Iddio di rivederlo un giorno».
Ma Dio aveva deciso diversamente… E mio padre ogni tanto partiva per cercarlo.
Io ero un bambino e credevo andasse fuori per lavoro: così mi dicevano a casa. Ma ogni volta che tornava aveva la stessa faccia dura, svuotata. Finché un giorno, preoccupato da quei viaggi di lavoro che finivano così tristemente, con grande sforzo chiesi a mia madre se stavamo per diventare poveri… Solo allora mi dissero la ragione per cui papà ogni tanto partiva per il Nord…
C’era stata la guerra, una guerra fratricida… Suo fratello e tanti suoi amici erano morti, l’orrore aveva sommerso le loro vite. Eppure, un mese prima di morire, al ritorno da un grande raduno dove aveva rivisto tanti suoi vecchi camerati… anche quelli espatriati in Sud America una vita prima… raccontando la giornata si mise a piangere: era la prima volta che lo vedevo così. Ebbene, davanti a mia madre che adorava, e a noi figli che amava allo stesso modo… davanti alla famiglia che gli aveva restituito gioie immense, non esitò a dire che quelli erano stati gli anni più belli della sua vita.
Era dicembre 1986, ed erano passati solo sei anni dal cataclisma che si era abbattuto sui “miei” anni.
Non ebbi difficoltà a capire mio padre, quella sera. E lo capisco ancora adesso, che di anni ne son passati quasi quaranta.
(Da “Noi – canzoni d’amore per la lotta e di lotta per l’amore)