L’identità della sinistra si presenta oggi con surrogati diversi ma sempre con lo stesso intento ideologico e anche con l’idea che le opinioni proprie non siano come le altre bensì superiori a quelle degli altri. Parliamoci chiaro, basta leggere con attenzione il progetto di legge: oggi io posso avere un’opinione “controcorrente” per esempio sulla natura del matrimonio, ma se esprimo questa opinione vengo sic et simpliciter accusato di omofobia e sono passibile di pene di diverso tipo. Non sono più uno che esprime legittimamente un’opinione contraria, ma sono uno che dice qualcosa di immorale perché non corrisponde al pensiero unico, all’ideologia del mondo dominante. Questo tentativo di disciplinamento e riduzione alla propria ideologia e annullamento del dibattito pubblico l’ho visto però in atto anche nel passato e in maniera più subdola, più “nascosta”, per esempio nel caso delle proposte di legge sull’eutanasia o del testamento biologico: il testo in sé permetteva a chiunque di prendere la propria decisione a riguardo, ma se qualcuno esprimeva una decisione contraria alle dat veniva considerato come qualcuno fuori dal tempo, qualcuno che ostacolava la marcia verso il progresso, verso il trionfo assoluto di una ragione che credendosi autosufficiente sostanzialmente tende a coincidere con il nulla.
Come se la ragione portasse a parteggiare pro e contro qualsiasi cosa?
Se io razionalizzo tutto e faccio della ragione qualcosa di astratto e non qualcosa che deriva dalla mia eredità storica alla fine non credo più in nulla perché la ragione ha una forza corrosiva, la ragione può distruggere qualsiasi cosa e, se io posso distruggere qualsiasi cosa, non ho più valori di riferimento. E divento non solo manipolabile, ma perdo il mio baricentro di persona. E sorge il nichilismo: il relativismo prima e il nichilismo poi. Chi ha fatto una battaglia contro la legge sull’aborto o l’eutanasia, quindi non contro una legge “apertamente” o “dichiaratamente” liberticida, ha fatto una battaglia contro un modo di pensare che attraverso le sue estreme conseguenze giunge al decreto Zan. Cioè all’esclusione dal dibattito, all’indifferenza, l’uguaglianza come discriminazione della differenza.
Prima della legge Zan era tollerato il dissenso?
Il problema è proprio nel “tollerato”: l’opinione di chi, in occasione di altre battaglie, è stato “tollerato” nel senso comune del termine, cioè sopportato come un reperto del passato, è diventata un’opinione di serie b. Pregiudizievole, espressione di una posizione minoritaria e interdetta dall’affermarsi a pari titolo con le idee degli altri. Al fondo di tutto questo c’è l’ideologia deleteria del progresso, che coincide con l’idea di avere sempre più diritti, più libertà. Ma i diritti senza i rispettivi doveri, la libertà senza il fondo di necessità da cui nasce e si staglia sono pure illusioni. E finiscono facilmente per volgersi nel proprio contrario.
Non mancano i cortocircuiti: oggi le lesbiche sono accusate dai trans di transfobia, le femministe dai gay di omofobia, i gay di sessismo da lesbiche e femministe: in questa gara tra categorie più meritevoli di protezione e più discriminate, segmentare la società in etichette basate sul genere e creare leggi particolari non radica le differenze invece di promuovere l’uguaglianza?
Io credo che un certo femminismo astratto, così come altri “ismi” astratti, siano non un modo per preservare la libertà e “l’uguaglianza” ma per radicare ancora di più le differenze: le stesse quote rosa non sono una battaglia combattuta a livello di mentalità, quindi a monte, bensì a valle, e questo ghettizza ancora di più “l’entità” discriminata. La dinamica dei cortocircuiti è presente però in tutte le rivoluzioni, non per nulla si dice che la rivoluzione mangia se stessa. Ripercorrendo le vicende sempre istruttive della rivoluzione francese: fu un processo veloce, c’era sempre qualcuno di più puro, più radicale, più morale che ti avrebbe divorato. Questa è la dialettica della rivoluzione, ed è una rivoluzione antropologica quella che oggi si propone: ripeto, creare un Uomo nuovo su basi completamente diverse, cancellando la storia e la sapienza che si è sedimentata nelle tradizioni comuni. Ci sarà sempre anche qui qualcuno di più rivoluzionario che si spingerà oltre: il vero punto di approdo di tutto questo processo relativo al genere è il genere fluido, non più uomo e donna, ma donna e donna, uomo e uomo, e, perché no, donne e donne, uomini e uomini e così via. Ci sarà sempre qualcuno che andrà oltre in nome di una libertà che essendo astratta finirà per erodere tutto. Chi pensa in modo dialettico e non binario sa e si rende conto che la libertà senza il suo contrario semplicemente non esiste. Se tutto è libertà, non avremo più la libertà.
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