Più in generale, nel quarantennio trascorso dalla prima uscita di La cultura del narcisismo, è la stessa «democratizzazione dell’istruzione» a essersi rivelata nefasta, confermando quanto appunto Lasch vedeva in prospettiva: «Non ha allargato le cognizioni della gente comune sulla società moderna, né ha migliorato la qualità della cultura popolare e neppure ha accorciato il profondo divario tra ricchi e poveri. Ha contribuito invece al declino del pensiero critico e al decadimento degli standard intellettuali». Basta dare uno sguardo alla compagnia di giro degli «opinionisti televisivi», una vera e propria professione, per capire di cosa si sta parlando, per non dire della cloaca da web imperante.
La strage di anziani di cui sono lastricati questi giorni all’insegna del Covid-19 e dell’emergenza sanitaria, ci mette del resto sotto gli occhi, con evidenza schiacciante, ciò che Lasch aveva fotografato come un dato in fieri: «La nostra società non sa che farsene degli anziani. Li bolla come inutili, li obbliga ad andare in pensione prima che abbiano esaurito la loro capacità lavorativa e rafforza in ogni occasione la loro sensazione di superfluità. Svalutando l’esperienza e attribuendo una grande importanza alla forza fisica, alla destrezza, all’elasticità nello stare al passo con le idee nuove, la società definisce la produttività in termini che escludono automaticamente i cittadini anziani». Quello in cui ormai viviamo immersi sino al collo è un drammatico mutamento del senso storico, una società che, avendo perso l’idea del passato, ha perduto però ogni interesse per il futuro, non trasmette più perché non tramanda più, una sorta di eterna giovinezza-attualità con un’idea di crescita zero di popolazione.
Il nuovo millennio, dunque, realizza in pieno ciò che nel XX secolo era una linea di tendenza. Abbiamo di fatto un’etica della comodità e il culto dell’edonismo e dell’autorealizzazione. Abbiamo sostituito alla formazione di carattere la permissività, alla cura delle anime la cura della psiche, all’autorità individuale l’autorità parimenti irrazionale degli esperti di professione. Come scriveva Lasch, «le nuove strutture di dipendenza create dalla nuova classe dominante, e che agiscono con efficacia pari a quella con cui, in epoca precedente, venne sradicata la dipendenza del contadino dal suo signore, dell’apprendista dal suo padrone, della donna dal suo uomo», non sono il portato di un complotto o di «una colossale congiura ai danni delle nostre libertà». Più semplicemente, hanno a che fare con il susseguirsi di situazioni di emergenza di fronte alle quali il culto del pragmatismo da un lato, l’incapacità politica di vedere oltre i problemi immediati dall’altro, funzionano da provvisori tamponi per l’hic et nunc.
A ciò si unisce ciò che sempre Lasch definiva la protezione «del sistema del capitalismo corporativo dal quale i manager e i professionisti che lo gestiscono traggono i maggiori benefici. La maggior parte di noi è in grado di vedere il sistema, ma non la classe che lo controlla e che monopolizza la ricchezza che esso crea. Se rifiutiamo l’analisi di classe della società moderna, ci precludiamo la possibilità di comprendere l’origine delle nostre difficoltà, i motivi della loro persistenza, i modi eventuali di superarle». A emergenza finita, sarà forse il caso di riflettere su tutto questo.
Focus (di S.Solinas). La cultura del narcisismo di Lasch: negazione del passato e nuova crisi