storia

L’Autunno del Medioevo compie cent’anni

La carriera di Huizinga, come studioso e scrittore, fu incentrata prevalentemente sulla storia del suo Paese ed area culturale; approfondì gli elementi estetici presenti nella storiografia e la condizione umana nei periodi di transizione ed i legami tra la cultura, l’etica, la morale medioevale e quella del Quattrocento. Tutte queste tematiche vennero raccolte nel ricordato  Autunno del Medioevo assieme ad altri importanti saggi sul XV, XVI e XVII secolo, divenuti col tempo dei veri e propri classici. Tra le opere successive, Huizinga scrisse una biografia di Erasmo da Rotterdam (1924). Dal libro Esplorazioni nella storia della cultura (1929), volse la sua attenzione prevalentemente all’instaurazione delle dittature europee, focalizzandosi sulle tendenze storiografiche a lui contemporanee, quali la ricerca e l’esaltazione dei miti, oppure sulla modifica del senso etico a causa dell’ascesa dei nazionalismi.

Homo Ludens è, viceversa, un’opera di Huizinga, pubblicata nel 1938, in cui si esamina il gioco come fondamento di ogni cultura dell’organizzazione sociale, e si evidenzia il fatto che anche gli animali giocano, quindi il gioco rappresenta un fattore preculturale. Il testo influenzerà, a vent’anni dalla sua uscita, diversi movimenti, tra i quali il situazionismo. In Homo Ludens, l’autore individua nel grande gioco della cavalleria la forma di espressione più alta della cultura medievale: “Tutto ciò che ora vediamo come un giuoco nobile e bello, una volta è stato un giuoco sacro”. E conduce una critica spietata all’età moderna: mentre nell’antichità il gioco si fissa come elemento di formazione intellettuale, la ludicità dei moderni scade nel puerilismo; riti e miti, allontandosi dal simbolo, rappresentano solo il momento ideologico di un sapere che smarrisce ancoraggi solidi, s’immerge “nelle ombre del domani”.

Studioso del passato, Huizinga considera l’esperienza del XX secolo come quella dell’assurdo e degli errori, dell’irrazionalità del pensiero e della politica. Le uniche vere realizzazioni sono, per lui, quelle tecniche. Egli, nonostante i periodi oscuri degli anni ’30 e ’40, rimase rigorosamente fedele ai criteri ed ai valori della filosofia e della storiografia razionaliste. Correnti, queste, che allora venivano messe a dura prova dagli attacchi del positivismo e della sociologia, nonché di tutte quelle correnti che, negando qualsiasi valore scientifico allo storicismo,  preludevano alla nascita di ideologie totalitarie. Le dure filippiche contro la scienza storica, lanciate da Husserl, Valéry, Peguy, Marcel, indussero Huizinga a compiere un’analisi della sua epoca ne La crisi della civiltà (1935), nel quale le cause della crisi vengono attribuite non al razionalismo – come postulavano molti ideologi occidentali coevi – bensì all’irrazionalismo: lo stesso irrazionalismo che in politica e nelle relazioni internazionali aumentò costantemente la minaccia della guerra. Ivi lo storico olandese scriverà che “nei secoli XV e XVI l’umanesimo presentò al mondo i recuperati tesori di un’antichità purificata, come esempi permanenti di sapere e di cultura, per costruirci su”.

Erede della tradizione di Ugo Grozio, padre del giusnaturalismo moderno, Huizinga sottopose a critica aspra le concezioni del diritto internazionale e dello Stato di Hans Freyer e di Carl Schmitt, denunciando la natura pseudoscientifica delle dottrine giuspolitiche totalitarie. Il XX secolo, affermò Huizinga “ha fatto della storia uno strumento di falsificazione al livello di politica statale”. Denunciò con vigore i prodotti dell’imperialismo, il razzismo, il nazionalismo esasperato, il fascismo ed il militarismo, non salvando lo stalinismo. Con i tratti del “libero conservatore”  Huizinga seppe rimanere coraggiosamente fedele ai suoi princìpi umanistici e di difesa della libertà di ricerca. Scoppiata la Guerra, i tedeschi occupanti lo deportarono, già anziano, in un lager per ostaggi; più tardi lo trasferirono in un piccolo villaggio, a De Steeg, nei pressi di Arnhem, ov’egli morì il 1º febbraio 1945, poco prima della fine del conflitto. Proprio nel lager egli scrisse due opere: Lo scempio del mondo e La civiltà olandese del Seicento, continuando a sondare la stretta correlazione fra ‘cultura’ e  ‘civiltà umana’.

 

Parecchi anni dopo l’Opus magnum di Huizinga, Jacques Le Goff, eminente rappresentante della terza generazione delle “Annales”,  torna sul problema essenziale prospettato dall’olandese, con vari saggi (tra i quali, nel 1957 Gli intellettuali del Medioevo, nel 1967 Il basso Medioevo, nel 1964 La civiltà dell’Occidente medioevale, nel 1976 Mercanti e banchieri del Medioevo, nel 1977 Tempo della Chiesa e tempo del mercante), ma con accenti diversi. Un mondo nuovo sembra per Le Goff uscire dalla crisi del Trecento. Tuttavia, sotto una pelle nuova, la Cristianità, corpo ed anima, stupisce per le sue persistenze. L’autunno dell’Età di Mezzo, tale quale l’ha visto Huizinga, sembra in quest’epoca esasperarsi, è pieno di furore, di sangue, di lacrime. Anche Le Goff sottolinea il legame intercorrente fra Trecento e Medioevo, ma proietta questa riflessione all’interno di una più vasta continuità di movimenti di lungo periodo, per i quali, se il Trecento appartiene al Medio Evo, è anche vero che esso racchiude in sé dinamiche e sviluppi destinati a dar frutto nel pieno Cinquecento. Il Medio Evo trecentesco appare come inasprito, ancor più crudele, dominato da passioni e partigianerie faziose, soprattutto in Italia, ove alla debolezza del potere imperiale si aggiunge ora la latitanza del Papato, sottomesso al potere del Re di Francia nella Corte e cattività avignonese.

 

Il sontuoso affresco della società borgognona nella vivida profondità del suo cielo serale, offerto da Huizinga alle genti studiose d’Europa all’indomani della catastrofe della Grande Guerra, diventa precocemente, oltre critiche e riserve, una delle più elevate espressioni del pensiero storico, un classico. Alla prima edizione dell’Autunno del 1919 fa seguito una seconda, rielaborata e corretta, nel ’21, quindi una terza olandese nel ’28, che riprende alcune varianti introdotte dalla seconda edizione tedesca dello stesso anno. La prima tedesca aveva visto la luce a Monaco nel 1924, così come quella inglese. La traduzione francese debuttò nel 1932, addirittura dopo quella spagnola del 1930. Finalmente, nel 1940, fu la volta della traduzione italiana, di Bernardo Jasink, per i tipi di Sansoni di Firenze, con Introduzione di Eugenio Garin. Tale dotta ed intensa prefazione verrà modificata nelle varie edizioni e ristampe successive dell’opera. Di Garin sarà pure l’Introduzione a La Civiltà del Rinascimento in Italia di Jacob Burckhardt, del 1860, che aveva conosciuto la sua prima edizione in lingua italiana nel 1876, nella casa fondata solo tre anni prima da Giulio Cesare Sansoni sulle rive dell’Arno e spesso poi ripubblicata.

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Eugenio Garin (Rieti, 1909 – Firenze, 2004) si laureò a soli 21 anni all’Università di Firenze con il filosofo positivista Ludovico Limentani. Nel 1949 diverrà Professore Ordinario nello stesso Ateneo. Disgustato dagli eccessi del ’68 ‘emigrò’ all’Università di Pisa. Fu uno dei più autorevoli storici della filosofia e della civiltà dell’Umanesimo e del Rinascimento. Nel 1944 Garin, iscritto al Partito Nazionale Fascista dal 1931, aveva pronunciato al Lyceum di Firenze una commemorazione in morte del Presidente dell’Accademia d’Italia, Giovanni Gentile, assassinato ad aprile di quell’anno dai GAP. Che ebbe, comunque, una morte socratica ed una solenne sepoltura in Santa Croce. Dove riposa tuttora anche se, di tanto in tanto, qualche starnazzante oca comunista ne chiede l’espulsione… Garin fu un formidabile e fine studioso, attivo fino ad un’età molto avanzata. I suoi interessi furono essenzialmente rivolti al pensiero dell’umanesimo e del Rinascimento. Dal Dopoguerra egli fu un operatore culturale privilegiato del PCI di Togliatti e successori, seguendo le orme di molti altri intellettuali.

estratto da http://www.barbadillo.it/81721-cultura-i-cento-anni-di-autunno-del-medio-evo-di-huizinga/

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