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Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli, Il Quinto Stato |
Il Quinto Stato è l’universale condizione di apolidia in patria in cui vivono almeno otto milioni di italiani ai quali non sono riconosciuti i diritti sociali fondamentali. La stessa condizione interessa almeno cinque milioni di cittadini stranieri che inoltre subiscono l’esclusione dai diritti di cittadinanza a causa della loro extra-territorialità in uno Stato.
Il Quinto Stato è una condizione incarnata in una popolazione fluttuante, composta da lavoratrici e lavoratori indipendenti, precari, poveri al lavoro, lavoratori qualificati e mobili, sottoposti a una flessibilità permanente. La loro cittadinanza non è misurabile a partire dal possesso di un contratto di lavoro, né dall’appartenenza per nascita al territorio di uno Stato-nazione poiché per questi soggetti si presuppone l’avvenuta separazione tra la cittadinanza e l’attività professionale, l’identità di classe, la comunità politica e lo Stato. Oggi sono stranieri o barbari tanto i nativi italiani, quanto i migranti. Entrambi appartengono alla comunità dei senza comunità. La loro è una cittadinanza senza Stato, poiché lo Stato non riconosce loro la cittadinanza.
In questo mondo, non basta lavorare per essere riconosciuti come lavoratori. E non basta affermare di essere cittadini di uno Stato per essere riconosciuti titolari dei diritti sociali, previdenziali, civili. La cittadinanza è stata limitata al possesso di un bene residuale, intermittente, e sempre meno retribuito: il contratto di lavoro. Anche quando ha la fortuna di possederlo, il cittadino-lavoratore viene sezionato in una lunga serie di identità parziali.
Si parla, ad esempio, di lavoratori precari, atipici, parasubordinati o con partita IVA i quali, pur potendo dimostrare di partecipare alla politeia, restano cittadini dimezzati perché non godono di un contratto di subordinazione e a tempo indeterminato. Altrettanto complicata è la condizione di chi vive nell’emisfero dell’impresa, oggi travolta della crisi economica iniziata nel 2008. È proprio la zona grigia tra il lavoro e l’impresa a costituire uno dei tratti caratteristici del Quinto Stato.
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