Luigi Villani (Roma 1878-1931), il critico e poeta a cui dobbiamo la dimostrazione – molto convincente – che i “Fedeli d’Amore” di cui Dante era esponente e forse magister, era una confraternita segreta di stampo ghibellino, che impartiva ai suoi adepti una pratica ascetica specifica, rituali e canali di grazia con la quale ritenevano di poter giungere alla “illuminazione”, o stato ontologicodi realizzazione spirituale.
La Chiesa come Pietra
Era anche una setta ostile al Papato corrotto di allora, la Chiesa chiamata “Pietra” nel linguaggio convenuto dei settari. E’ la Chiesa spostata ad Avignone, la Chiesa che ha distrutto l’ordine monastico dei Templari e mandato al rogo i suoi gran maestri; per il Dante delle “rime petrose” e i suoi Fedeli d’Amore, irati DISPERATI ed agghiacciati, è una pietra tombale che tiene prigioniera la Sapienza Santa, ed impedisce a i fedeli la salvezza eterna. Tu “Ch’eri già bianca ed or sei nera e tetra – aprimi, petra, sì ch’io Petra veggia – che il cor mi dice che ancor viva seggia – petra è di fuor che dentro petra face”: invettiva ben chiara a chi vuol capire: fa’, o detestata Petra, chi’o veda sotto la tua pietra Pietro, ché tu ormai rendi “pietre” i fedeli e veri cristiani, non fai giungere a loro la grazia santificante. Impressionante accusa, nata da un’esasperazione che anche i cattolici veri d’oggi conoscono, dove si accusa la Chiesa non da posizioni laiciste, ma da una fede cristiana autentica e potente; una fede e una ascetica superiore che può accusare a la gerarchia clericale, lo stesso Papa, di tradimento metafisico, e di usurpazione del potere temporale – inteso come Impero, ossia un potere sacrale, essenziale anch’esso perla salvazione umana.
Del resto, l’Alighieri non faceva mistero della sua esperienza mistica reale. “Perché appressando sé al suo disire [Dio Amore]/ nostro intelletto si sprofonda tanto/che retro la memoria non può ire”, dirà nel primo canto del Paradiso. E nell’epistola a Can Grande della Scala, spiega che questi versi alludono alla stessa esperienza del passo di San Paolo ai Corinti, dove parla di uno [Paolo stesso] che fu “rapito a questo modo al terzo cielo, se nel corpo o senza il corpo, lo sa Dio”. E se gli invidi (invidiosi) non credono ciò possibile, “leggano Ricardo di San Vittore, e non invidieranno”.
Riccardo di San Vittore (1100-1173) fu amico di San Bernardo – colui che scrisse la regola per i Templari – ed autore di testi di ascetica che mirano a portare il fedele alla visione diretta del divino – l’apice spirituale dove “non sono più io che vivo”, dove l’amante si identifica con l’Amato – tanto che fu chiamato Magnus Contemplator.
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