In occasione dell’uscita del nuovo libro di John Perkins, ripubblichiamo un vecchio articolo di Bondeno.com sul libro precedente dello stesso autore.
Anche stavolta prendiamo spunto da un libro e da un film per un discorso incrociato sull’economia: il film è “Syriana”; il libro “Confessioni di un sicario dell’economia”.
Dal libro di John Perkins riportiamo un brano esemplificativo:«Il Venezuela era un caso classico. Tuttavia, mentre osservavo gli eventi che vi si stavano svolgendo, fui colpito dal fatto che il fronte di battaglia davvero significativo si trovava in un altro paese ancora. Era un fronte significativo non perché rappresentasse di più in termini di dollari o vite umane, ma perché comportava questioni che andavano ben oltre gli obiettivi materialistici che generalmente definiscono gli imperi. Questo fronte di battaglia si estendeva al di là degli eserciti di banchieri, dirigenti d’azienda e politici, fino in fondo all’anima della civiltà moderna. E si stava formando in un paese che avevo finito per conoscere e amare, il paese in cui avevo lavorato per la prima volta come volontario dei Peace Corps: l’Ecuador.
Negli anni trascorsi da quando mi ero recato là per la prima volta, nel 1968, questo minuscolo paese si era trasformato nella tipica vittima della corporatocrazia. Io e i miei contemporanei, e i nostri moderni equivalenti manageriali, eravamo riusciti a portarlo praticamente alla bancarotta. Gli avevamo prestato miliardi di
dollari perché potesse ingaggiare le nostre società di ingegneria e costruzioni affinchè realizzassero progetti che avrebbero favorito le sue famiglie più ricche. Di conseguenza, in quei tre decenni, il livello ufficiale di povertà era passato dal 50 al 70%, la sottoccupazione o la disoccupazione erano aumentate dal 15 al 70%, il debito pubblico era cresciuto da 240 milioni a 16 miliardi di dollari e la quota di risorse nazionali stanziata per i cittadini più poveri era scesa dal 20 al 6%. Oggi, l’Ecuador deve destinare quasi il 50% del suo bilancio nazionale unicamente a saldare i suoi debiti, anziché ad aiutare i milioni di suoi cittadini ufficialmente classificati come gravemente impoveriti.40
La situazione in Ecuador dimostra chiaramente che non si tratta del risultato di un complotto, bensì di un processo verificatosi durante amministrazioni sia democratiche che repubblicane, un processo che ha coinvolto tutte le principali banche multinazionali, molte corporation e aiuti esteri da una moltitudine di paesi. Gli Stati Uniti hanno svolto il ruolo di guida, ma non abbiamo agito da soli.
Durante quei tre decenni, migliaia di uomini e donne hanno contribuito a condurre l’Ecuador nella delicata posizione in cui si è ritrovato all’inizio del millennio. Alcuni di loro, come me, erano consapevoli di ciò che stavano facendo, ma la stragrande maggioranza aveva semplicemente svolto i compiti per i quali era stata istruita nelle facoltà di economia, ingegneria e giurisprudenza, o aveva seguito la guida di capi del mio stampo, che gli avevano illustrato il sistema con l’esempio della loro avidità e attraverso ricompense e punizioni intese a perpetuarlo. Nel peggiore dei casi, quei partecipanti consideravano innocuo il proprio ruolo; nel caso più ottimistico, ritenevano di star aiutando una nazione ridotta in miseria.
Sebbene inconsapevoli, ingannate e – in molti casi – illuse, queste persone non erano membri di un complotto clandestino; erano piuttosto il prodotto di un sistema che promuove la forma più sottile ed efficace di imperialismo che il mondo abbia mai conosciuto. Nessuno era stato costretto ad andare a cercare uomini e donne da corrompere o minacciare, perché erano già stati reclutati da società, banche e agenzie governative. Le tangenti erano costituite da stipendi, gratifiche, pensioni e polizze assicurative; le minacce si basavano sulle usanze sociali, sulle pressioni dei colleghi e sulle domande implicite circa il futuro dell’educazione dei loro figli.
Il sistema aveva avuto un successo spettacolare. All’inizio del nuovo millennio, l’Ecuador era ormai totalmente in trappola. L’avevamo in pugno, proprio come il padrino della mafia ha in pugno l’uomo al quale ha prestato più volte i soldi per il matrimonio della figlia e per la sua piccola impresa. Come ogni buon mafioso, avevamo preso tempo. Potevamo permetterci di essere pazienti, sapendo che sotto le foreste pluviali dell’Ecuador c’è un mare di petrolio, sapendo che il giorno giusto sarebbe arrivato».
Come si vede l’autore ha fatto parte di una élite di professionisti che hanno il compito di trasferire le ricchezze dei paesi “in via di sviluppo” ai governi e alle multinazionali dei paesi più sviluppati (gli USA in primo luogo).
A parere della critica (http://www.tempimoderni.com/db/dbfilm/film.php?id=1470)
il film si presenta confuso, forse la lettura del libro John Perkins, Confessioni di un sicario dell’economia, 15 euro
può aiutarci a chiarirlo…