editoria

The book of miracles

http://www.libri.it/book-of-miracles?search=miracle

Le illustrazioni dall’aspetto sorprendentemente moderno, talvolta fantastico, e le descrizioni presenti nel Book of Miracles ci offrono una visione unica e straordinaria delle preoccupazioni e dei timori del XVI secolo, del pensiero apocalittico e delle attese escatologiche del tempo. Al contempo, la sua aspirazione enciclopedica rivela una curiosità tipica del Rinascimento tedesco, dai tratti spiccatamente scientifici, e attraverso l’assimilazione di diverse fonti testuali e visive ci consegna una vera e propria cronaca degli orrori.

Questo facsimile riproduce per la prima volta il Book of Miracles nella sua interezza, rendendo finalmente accessibile a tutti gli studiosi e gli appassionati d’arte una delle opere più importanti del Rinascimento tedesco. Accanto al facsimile, un commento introduttivo colloca il codice nel suo contesto storico e culturale. Un’ampia descrizione del manoscritto e delle sue miniature e la trascrizione completa del testo costituiscono infine un’utile appendice.

Gli autori:
Till-Holger Borchert ha studiato storia dell’arte, musicologia e letteratura tedesca alle università di Bonn e Bloomington (Indiana, USA). Noto esperto della pittura fiamminga delle origini, è curatore capo del Groeningemuseum di Bruges dal 2002. Ha curato inoltre numerose esposizioni in ambito artistico e di storia della cultura in diverse città tra cui Bruxelles, Maastricht, Rotterdam, Madrid e New York. Borchert insegna storia dell’arte presso le università di Aquisgrana e Memphis (Tennessee, USA) e dirige il Flemish Research Centre for the Arts in the Burgundian Netherlands.

Joshua P. Waterman ha studiato storia dell’arte alla Oregon State University e ha conseguito un Ph.D. alla Princeton University per la sua dissertazione sulle interrelazioni tra letteratura e arti visive in epoca barocca in Slesia. Grande esperto di arte tedesca del tardo medioevo e degli inizi dell’epoca moderna, ha lavorato al Metropolitan Museum of Art di New York ed è stato Andrew W. Mellon Postdoctoral Curatorial Fellow presso il Philadelphia Museum of Art. Attualmente è ricercatore associato presso il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga. Ha collaborato a varie esposizioni a New York, Philadelphia, Colonia e Bruges.

fantascienza

Auguri da IF

IF augura ai
suoi lettori e
collaboratori
un Buon Natale
e un Felice anno nuovo!

… e annuncia l’imminente uscita del n. 15 della rivista dedicato a FANTARELIGIONE

128 pagine / 8 / abbonamento
a 4 numeri:
30.

Attenzione: la scadenza per la seconda edizione del concorso
Racconti inediti per IF sul tema “PROTOFANTASCIENZA”
è stata rinviata al 31/01/2014.

Sul n. 15 di IF sono pubblicati i tre racconti premiati
della prima edizione del concorso
sul tema “Fantareligione”

conferenza

La leggenda di Babbo Natale

giovedì 19 dicembre ore 16,30 – ANATOMIE DELLA MENTE
Sei conferenze di varia psicologia – Anno VII

DA SAN NICOLA A BABBO NATALE – Biografia di una leggenda per una psicologia natalizia
A cura di Stefano Caracciolo, Professore Ordinario di Psicologia Clinica all’Università di Ferrara
La leggenda di Babbo Natale è una moderna versione del simpatico pancione con la barba bianca statunitense, Santa Claus, che a sua volta è una moderna versione del simpatico pancione con la barba bianca St. Niklaas di Amsterdam, che a sua volta… e così via, fino al vescovo Nicola della città egea di Mira, odierna Dembre in Turchia, vissuto nel IV secolo D.C. ma di cui possediamo documenti solo dall’epoca dell’Imperatore Giustiniano nel VI Secolo. I suoi resti mortali – o quello che si tramanda essere – sono conservati come sacra reliquia a Bari nella Cattedrale di S.Nicola, ma anche a Venezia e, in innumerevoli reliquie multiple, in centinaia di Chiese e di Abbazie di tutta Europa. La traslazione da Mira a Bari, di cui restano inoppugnabili documentazioni storiche, avvenne in circostanze assai avventurose e il gruppo dei marinai baresi viene tuttora ricordato come un manipolo di eroi. Le radici psicologiche di queste leggende e storie hanno a che fare con un nucleo centrale d i “comportamenti natalizi” – e non solo: coinvolgono il regalo e l’atteggiamento di donazione. Ma perché San Nicola / Babbo Natale? Che cosa ha a che fare con i regali e la generosità?

conferenza

Gli indifferenti

martedì 17 dicembre ore 17 – LIBRI IN SCENA

Andrea Baravelli – GLI INTELLETTUALI ITALIANI DEL VENTENNIO E IL TRADIMENTO DI UNA MISSIONE
In occasione dello spettacolo “Gli indifferenti” di e con Fabrizio Gifuni, in cartellone nella Stagione di Prosa 2013/2014 del Teatro Comunale di Ferrara dal 19 al 21 dicembre
L’intervento prenderà le mosse dalla Prima Guerra Mondiale, periodo che, come mai prima, vide la piena affermazione sociale della figura dell’intellettuale. Nei primi anni Venti furono gli intellettuali a guidare le trasformazioni politiche, sia sul versante della destra (come non pensare a D’Annunzio) sia su quello della sinistra (con le lucidissime osservazioni di Gramsci). Da un certo punto di vista anche il fascismo, pur carico di pulsioni ambivalenti, si rappresentò come apogeo della capacità degli intellettuali di influenzare i grandi processi. L’affermazione e il consolidamento del regime avrebbe invece dimostrato la debolezza morale della grande maggioranza degli intellettuali italiani. A fronte della resistenza isolata di alcuni grandi personaggi – Croce e Salvemini su tutti – nel suo complesso il mondo intellettuale italiano avrebbe preferito la vita comoda e narcotizzata che il regime mussoliniano offriva loro. La comunicazione prenderà in esame alcuni percorsi significativi, fino ad affrontare il nodo del complesso e spesso opaco periodo della resistenza
A cura dell’Associazione Amici della Biblioteca Ariostea
libri

Rileggere “I vicerè”

lunedì 16 dicembre ore 17 – ITALIANI BRAVA GENTE
RILEGGERE I CARATTERI DEGLI ITALIANI

Fulvio Bernabei rilegge – “I VICERÈ” di FEDERICO DE ROBERTO:
Coordina e introduce Roberto Cassoli
Federico De Roberto nasce a Napoli nel 1861 e muore a Catania nel 1927. Fu presto conosciuto negli ambienti intellettuali per la sua attività di consulente editoriale, critico e giornalista. Durante il suo soggiorno milanese collaborò al “Corriere della Sera” e pubblicò diverse raccolte di novelle e romanzi, fra i quali “I Viceré”, pubblicato nel 1894 e considerato il suo capolavoro.
Il romanzo è ambientato sullo sfondo delle vicende del Risorgimento meridionale, narrate attraverso la storia degli Uzeda di Francalanza, nobile famiglia catanese. L’autore partenopeo ebbe l’idea del romanzo nel 1891 e la presentò all’amico Ferdinando Di Giorgi come “la storia d’una gran famiglia, la quale deve essere composta di quattordici o quindici tipi, tra maschi e femmine, uno più forte e stravagante dell’altro. Il primo titolo era “Vecchia razza”: ciò ti dimostri l’intenzione ultima, che dovrebbe essere il decadimento fisico e morale d’una stirpe esausta.” Ne emerge un’analisi spietata dell’aristocrazia siciliana, orgogliosa, gelosa dei suoi privilegi, avida di denaro e di potere, chiusa in cupi egoismi e in sfrenate passioni, descritta con un acre gusto ironico non privo di inflessioni grottesche, nel quale, tuttavia, è sempre presente l’altra faccia della compiacenza sottile per le malattie dell’anima e del corpo e per la morte. Insieme ai “Malavoglia” del Verga, l’ opera è uno dei capolavori del Verismo italiano per ricchezza dei personaggi, ampiezza della struttura e vivezza della rappresentazione. Dal romanzo è stato tratto un film uscito nei cinema italiani nel novembre 2007 con la regia di Roberto Faenza.
A cura dell’Istituto Gramsci di Ferrara e dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara
conferenza

Nascita di Ferrara

venerdì 13 dicembre ore 16 – TAVOLA ROTONDA

9 SETTEMBRE 413. NASCITA DI FERRARA? – Tavola Rotonda
Una raccolta di oroscopi pubblicata intorno alla metà del XVI secolo, Luca Gaurico ne include uno dedicato alla fondazione della città di Ferrara in data 9 settembre 413. Anno 413! Ancora Impero Romano: imperatore, Onorio; sede imperiale: Ravenna.
È verosimile questa datazione, non menzionata in altri documenti?
In occasione del XVI centenario della supposta fondazione ne parlano Livio Zerbini, storico; Giovanni Uggeri, archeologo, Stella Patitucci, archeologa; Claudio Cannistrà, esperto in discipline astrologiche.
Introduce Gianluigi Magoni
A cura dell’Accademia delle Scienze di Ferrara
Argomenti vari, libri

Tradizioni Micaeliche

I SENTIERI DI SAN MICHELE
Culti micaelici e antica viabilità sui monti del Chianti
di R. Centri e L. Pecchioni
Sui monti del Chianti il nome di San Michele Arcangelo ritorna costantemente, caratterizzando chiese, eremi, torrenti e la vetta stessa della catena: Monte San Michele, che fino all’inizio del novecento era meta di processioni devozionali. Il contesto geografico è reso coerente dall’esistenza di una strada antichissima, che rappresentava nel medioevo un importante itinerario per i pellegrini e un punto di riferimento per le transumanze. Di essa rimane un avvincente intreccio di sentieri, ricchi di curiosità e scorci suggestivi: un patrimonio culturale che aspetta da molto tempo di essere riscoperto, sia in senso archeologico, sia semplicemente turistico.

Proprio in Chianti, in un eremo dedicato a San Michele, esattamente settecento anni fa nasceva una confraternita le cui costituzioni si sarebbero diffuse in buona parte dell’occidente europeo. I monaci, solo in seguito definiti girolamini, scelsero questi luoghi per rifugiarsi sotto la protezione dell’Arcangelo, come fecero già molti eremiti in precedenza. Per gli autori del presente volume l’anniversario è stato uno stimolo a procedere in una ricerca specificamente dedicata ai culti e alle titolazioni micaeliche del Chianti, argomento raramente affrontato in modo esteso.       

tra gli argomenti trattati:
VIABILITÀ E PROPOSTE SENTIERISTICHE
SAN MICHELE NELLE DONAZIONI PRO-ANIMA
I LONGOBARDI E LE TITOLAZIONI A SAN MICHELE
L’ABBAZIA DI SAN PIETRO E SAN MICHELE DE’ MONTI
MONTEDOMINI E ORSANMICHELE
LE TRADIZIONI MICAELICHE TRA IL XVII E IL XIX SECOLO
(…)
festival, filosofia

La fiducia

È FIDUCIA
LA PAROLA CHIAVE
DELLA NONA EDIZIONE
DEL FESTIVAL FILOSOFI LUNGO L’OGLIO

«La fiducia non è una vuota illusione.
Alla lunga, è l’unica che ci può assicurare
che il nostro mondo privato non è anch’esso un inferno».
H. Arendt

Dopo Le stagioni della vita, Geografia delle passioni, Vizi e virtù, Destino, Corpo, Felicità, Dignità, Noi e gli altri è Fiducia il tema scelto all’unanimità dal Comitato scientifico del Festival Filosofi lungo l’Oglio per la nona edizione della Kermesse, che si terrà, come è consuetudine, nei mesi di giugno e luglio 2014.
La nozione di fiducia che viene dal latino fidēs e dal greco peíthomai che vuol dire ‘obbedire’, da cui pístis ‘confidenza, fede’ e ‘pistós’ fedele si fonda, come mostra il Benveniste, su due accezioni ben distinte che ritroviamo proprio a partire dalle parole latine. Pertanto si scopre che il senso letterale e originario di fidēs è credito. «La traduzione letterale di fidēs mihi est apud aliquem diventa ‘ho credito presso qualcuno’; che è allora l’equivalente di ‘gli ispiro fiducia’ o ‘ha fiducia in me’. Così la nozione di fidēs stabilisce tra i partners una relazione inversa a quella che regge per noi la nozione di fiducia (Cfr. confiance). Nell’espressione ‘ho fiducia in qualcuno’, è qualcosa di me che gli metto tra le mani e di cui egli dispone; nell’espressione latina mihi est fides apud aliquem, è l’altro che mette la sua fiducia in me, e sono io che ne dispongo». Un’ulteriore problematizzazione scaturisce dalla locuzione francese ‘avoir confiance en quelqu’un’ ovvero ‘je donne ma foi, j’accorde ma confiance’. Ma come è possibile spiegare che si dica anche ‘avoir confiace’ in qualcuno: «come si può dare una cosa e averla nello stesso tempo? L’espressione ‘aver fiducia’ è comprensibile – scrive Benveniste – solo come traduzione dell’espressione lat. fidem habere». Di qui, allora, il ricorso ad una costruzione del tutto diversa: fidem habere alicui, che ha lo stesso significato di honorem habere alicui ‘attribuire un onore a qualcuno’, ovvero attribuirgli la fidēs che gli spetta. Si può notare la stretta relazione tra hic mihi fidem habet e l’antico est mihi fides apud illum. È a partire da qui, passando anche attraverso il linguaggio della retorica – si pensi all’espressione: fidem facere orationi ‘creare per un discorso la fidēs’ ossia in questo contesto la credibilità – che «si sviluppa fidēs come nozione soggettiva, non più la fiducia che uno risveglia in qualcuno, ma la fiducia che si mette in qualcuno». Ma questo passaggio fondamentale nell’evoluzione del termine mette anche in luce come i partners della fiducia non sono posti sullo stesso piano: «colui che detiene la fidēs messa in lui da un uomo ha quest’uomo in suo potere. Ecco perché fidēs diventa quasi sinonimo di potestās e di diciō. Nella loro forma primitiva, queste relazioni comportano una certa reciprocità: mettere la propria fidēs in qualcuno procurava in cambio la sua garanzia e il suo appoggio. Ma proprio questo fatto sottolinea l’ineguaglianza delle condizioni. Questa relazione implica potere di obbligare da una parte, obbedienza dall’altra». Da ultimo non si può certo trascurare lo stretto legame tra fidēs e crēdō, che vuol dire letteralmente ‘porre il *kred-‘ ossia ‘la potenza magica’, in un essere da cui si attende protezione: in breve, credere in lui. Ora, fidēs nel suo senso primo di ‘credito, credibilità’ che implica dipendenza da colui che ha fiducia, parrebbe rinviare a una nozione molto vicina a quella di *kred. «Si capisce dunque facilmente – conclude Benveniste – che, essendosi perso in latino il vecchio nome-radice *kred-, fidēs abbia potuto prendere il suo posto come sostantivo corrispondente a crēdō».
Come si può evincere dalla ricostruzione etimologica del termine tesa tra l’ispirare fiducia e il mettere la propria fiducia nell’altro, la parola chiave della IX edizione del Festival Filosofi lungo l’Oglio chiama in causa, nella plurivocità dei suoi significati e quasi fosse una prosecuzione della ottava edizione della kermesse, non solo il rapporto tra io-altro/Altro e terzo, ma, se così si può dire, lo stato attuale delle relazioni che si danno tra noi e gli altri, allorché la fiducia, come sostiene a ragione Michela Marzano nel suo volume intitolato Avere fiducia, da cemento della società, è divenuta sempre più sinonimo di credito, laddove per credito non si deve tanto intendere l’onore che l’altro suscita, ma un significato che appartiene soltanto alla sfera economica.
Tutto sembra contrattualizzato in una catena di «interessi incapsulati» dove, tanto più in una situazione di crisi globale come la nostra, il mantenere la parola data, il rispetto, il riserbo sembrano termini obsoleti pronti a lasciare spazio all’apparenza, al tentativo quasi ossessivo di salvaguardare la nostra reputazione perché è solo così che abbiamo la tendenza a dimostrarci affidabili. È la teoria del self-love come chiave per lo sviluppo economico avanzata dal filosofo scozzese Adam Smith, che scrive nella Teoria dei sentimenti morali: «l’amore di sé spesso può essere un virtuoso motivo d’azione […] il desiderio di diventare oggetti appropriati di stima e approvazione». Teoria che, portando alla sua acme le riflessioni condotte da Mandeville in un famoso passo della Favola delle api, supera l’impasse nella quale erano caduti i moralisti francesi del XVII secolo. In fondo se «i vizi- scrive La Rochefoucauld nella massima 182 –entrano nella composizione della virtù come i veleni in quella delle medicine», se l’uomo è solo una fragile «canna pensante» in preda al divertissement, tanto vale fare leva su questo disincanto, individuando nell’egoismo la sorgente della prosperità sociale e trasformando i «vizi privati» in «pubbliche virtù».
E qui sovviene la celebre distinzione di Rousseau tra amore di sé e amor proprio, tornano alla mente le sempre attuali riflessioni kantiane sulla forza da combattere per estirpare dall’uomo quella sorda resistenza all’imperativo della legge, che è l’egoismo. Egoismo da cui scaturiscono la menzogna, la falsa promessa, la corruzione, l’avarizia, l’invidia, l’ingratitudine, l’orgoglio, la calunnia, a loro volta, indizi di quel male radicale che insidia l’uomo. Lo tenta come il serpente con Eva. Lo ammalia fino a farne uno schiavo con il paradosso ulteriore che l’intera storia dell’umanità documenta lo scandalo di uomini morali infelicissimi e di uomini immorali che crescono come i cedri del Libano.
L’egoista, in fondo, è uno schiavo che si crede libero, un individuo cui basta e deve bastare la fiducia in sé, essere più temuto che amato come il Principe di Machiavelli benché le crisi e le bolle finanziarie provino esattamente il contrario.
In proposito è istruttivo ricordare quanto dichiarò il Presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Rooselvet, nel 1937, in occasione del discorso di insediamento per il suo secondo mandato: «Abbiamo sempre saputo che l’egoismo insensibile è moralmente cattivo; ora sappiamo che è economicamente cattivo». Un’affermazione che pare un commento ante litteram alla nostra società globale, complessa, liquida. Una società composta da soggetti sempre più in preda all’isolamento e al senso di solitudine, soggetti disorientati, spesso vetrinizzati, perlopiù confusi. Sovente incapaci di pensare ad un futuro perché il lavoro manca, l’ansia della prestazione aumenta, il denaro scarseggia con il risultato che non si possono fare progetti che vadano oltre la fine del mese. Ammesso di arrivarci. Gli homeless e i disoccupati sfiorano percentuali preoccupanti al punto che sembra si sia persa, persino, la forza di sperare. In effetti, in tali circostanze, posso ancora fidarmi? E se sì, di chi? E ancora, chi può dirsi degno della fiducia altrui? A chi mi affido e con chi mi con-fido se persino le relazioni d’amore rischiano di essere ridotte a oggetto di scambio? E ancora, dov’è quel maestro che mi crede capace, davvero, di futuro e nel contempo non mi lascia solo?
Il rischio provocato dal venir meno della fiducia non può che risiedere in un senso diffuso di paura, di chiusura autistica al mondo e agli altri, che alimenta, a sua volta, il moltiplicarsi del sospetto che può portare ad una vera e propria paralisi.
In fondo, il nucleo essenziale della fiducia sta nell’atto stesso di credere in qualcuno e/o qualcosa, che ci si affidi o no a Dio: ecco perché «la fede appare anche come una necessità umana – scrive Enzo Bianchi in Fede e fiducia– una realtà antropologica fondamentale, la matrice della vita, quella che per i teologi è la “fides qua”, la fede con la quale si crede, l’atto con cui l’uomo decide di affidarsi, di aderire, di credere in piena libertà. Possiamo dire che non ci può essere autentica vita umana, umanizzazione senza fede. Come sarebbe possibile vivere senza fidarsi di qualcuno?».
Ed è proprio a partire da questi numerosi interrogativi, che ne richiamano molti altri, che i relatori che si si susseguiranno nel corso del Festival cercheranno di declinare la nozione di fiducia. Una parola che oggi ciascuno vorrebbe sentir risuonare e che ci auguriamo possa divenire, non solo, come sostiene Luhmann, «un meccanismo di riduzione della complessità sociale», ma un imperativo. In breve, la parola d’ordine del nostro presente perché senza fiducia non c’è domani.

Arte

Censured

CARONTE – Franco Losvizzero 2013
Performance
Tra Galleria Nazionale D’Arte Moderna e Contemporanea e Accademia di Romania
Traghettatore tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi, Caronte ci conduce oltre le porte del cimitero, oltre la strada che divide il Museo Nazionale e l’Accademia. Salire sul Cavallo bianco-giocattolo (scultura meccanica GIROGIROTONDO del 2008) e come un Marco Aurelio inseguire il mondo delle meraviglie dell’arte, cavaliere dell’inconscio, per indicare la marcia verso l’ignoto profondo che ci appartiene. Il suo intento, pur cavalcando sempre fermo sullo stesso posto, è quello di indicare la via per uscire da se…o per entravi. Come un grande carillon è accompagnato dalla voce corale di bambini che intonano la filastrocca giro giro tondo. (F.L.)

Con il titolo “CENSURED” e le opere considerate “scandalose”, Franco Losvizzero rilancia, con una mostra messa su in pochi giorni, grazie alla movimentazione del mondo dell’arte e degli artisti che hanno voluto dimostrare solidarietà alla causa e grazie alla sensibilità del Presidente di Visiva – “la città dell’immagine” Massimo Ciampa e la direttrice culturale Auronda Scalera che ne mettono a disposizione gli spazi espositivi, CENSURED inaugurerà Sabato 7 dicembre alle ore 18.00 in Via Assisi, 117 a Roma (tel. 06 96042680).

Arte

Disegni in collezione

La Società di Santa Cecilia per il Gabinetto Disegni e Stampe
della Pinacoteca Nazionale di Bologna

Bologna, Pinacoteca Nazionale 7 dicembre 2013 – 23 marzo 2014

opening: 6 dicembre 2013 ore 18.00

La Società di Santa Cecilia, Amici della Pinacoteca Nazionale di Bologna, tra il 2011 e il 2013 ha donato al Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca di Bologna tre disegni che vanno ad arricchire la ricca collezione di grafica del Museo: un foglio a tempera con l’Allegoria della guerra, memoria del cammeo realizzato nella volta della sala della Pace e della Guerra a palazzo Milzetti a Faenza; un disegno a matita rossa di Giuseppe Maria Mitelli preparatorio per l’acquaforte datata 1710 intitolata Li cinque sentimenti alla moda, ed infine un disegno sempre a matita rossa di Angela Teresa Muratori preparatorio per la pala raffigurante l’Annunciazione realizzata intorno al 1700 per la chiesa della Santissima Trinità di Bologna.

L’esposizione dei disegni, affiancata dalla presentazione dell’acquaforte di Giuseppe Maria Mitelli gentilmente concessa in prestito dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna, verrà inaugurata in Pinacoteca dal Soprintendente Luigi Ficacci il 6 dicembre 2013 alle ore 18,00, mentre nei mesi a seguire, sino alla chiusura della mostra, verranno realizzate delle conferenze volte a presentare ognuno dei disegni donati, oltre che a mettere in luce l’attività della Società di Santa Cecilia anche in relazione alla donazione di dipinti.

Lo spazio espositivo espressamente realizzato in questa occasione grazie al contributo della Società di Santa Cecilia, permetterà di realizzare in futuro esposizioni a rotazione del materiale del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna, consultabile per motivi conservativi solo su richiesta.

Durante la presentazione sarà possibile effettuare riprese fotografiche e video.

Per informazioni, o per ricevere materiale fotografico di alta qualità, contattare Elena Rossoni
tel. 051 4209444 – cell. 349 3636477
email: elena.rossoni@beniculturali.it

Scarica comunicato stampa 

Calendario degli eventi:

6 dicembre 2013, ore 18.00 Inaugurazione
Luigi Ficacci
La Società di Santa Cecilia per la Pinacoteca Nazionale di Bologna

18 gennaio 2014, ore 16.30
Maria Pace Marzocchi
Dipinti bolognesi ed emiliani dalla Società di Santa Cecilia alla Pinacoteca Nazionale

8 febbraio 2014, ore 16.30
Elena Rossoni
Moda, musica danza ed altro ancora ne Li cinque sentimenti alla moda di Giuseppe Maria Mitelli

8 marzo 2014, ore 16.30
Angelo Mazza
Angela Teresa Muratori “inclinata al suono, al canto e alla pittura”. Un disegno per la Pinacoteca Nazionale

22 marzo 2014, ore 16.30
Luigi Ficacci
Felice Giani, palazzo Milzetti e l’Allegoria della guerra

La Società di Santa Cecilia

La Società di Santa Cecilia, che prende il nome dal capolavoro “bolognese” di Raffaello, nasce, per iniziativa di Andrea Emiliani, dalla volontà di un gruppo di simpatizzanti che intorno al 1990 inizia a sostenere la Pinacoteca di Bologna con l’intento di valorizzare e diffondere la cultura artistica legata al suo ingente patrimonio. Perfezionata giuridicamente nel 2002, l’associazione nel corso della propria attività ha concorso a restauri, sostenuto ricerche e studi, patrocinato manifestazioni espositive e pubblicazioni, ha organizzato visite e conferenze per gli amici e fornito costante supporto alle iniziative istituzionali.

Ha inoltre contribuito alle acquisizioni della Pinacoteca favorendo le donazioni di soci e di sostenitori che hanno arricchito le raccolte con dipinti dei Carracci, di Guercino,
Reni, Cesi, Albani, Crescimbeni. La stessa Società ha poi reperito e donato opere significative per la storia dell’arte cittadina, come il bozzetto di Antonio Balestra per la pala, perduta, della chiesa di Sant’Ignazio.

In questa occasione vengono presentati gli ultimi acquisti, compiuti dall’associazione nel 2011 e nel 2013 per il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe: tre opere su carta che testimoniano della produzione grafica di tre artisti che, per motivi tra loro estremamente diversi, contraddistinguono la cultura figurativa emiliano-romagnola nell’arco di quasi due secoli.

Consiglio direttivo 2012-2015
Presidente Fabia Farneti, Vice Presidente Maria Pace Marzocchi, Consiglieri Silvia Camerini, Valentina Camorani Scarpa, Giorgio Forni, Vincenza Riccardi Scassellati Sforzolini, Andrea Santucci.

Sede
Società di Santa Cecilia, via delle Belle Arti 56, 40126 Bologna
cellulare 3400902664
email santacecilia.bo@libero.it

Angela Teresa Muratori (Bologna 1661 – 1708), Annunciazione
Matita rossa su carta avorio, mm. 200×180
Acquisizione 2013, inv. 32516

Angela Teresa Muratori fu una pittrice bolognese che svolse un’intensa attività sia come esecutrice di opere di propria invenzione sia come copista di dipinti della grande tradizione bolognese del Seicento. Grazie alla sensibilità del padre, essa ricevette un’educazione musicale oltre che pittorica, tanto da divenire anche compositrice di cantate e oratori. Forse il suo essere donna la mise nella condizione di non poter diventare completamente artista autonoma, essendo essa passata dalla bottega del pittore Emilio Taruffi, dove rimase sino al 1696, a quella di Lorenzo Pasinelli ed infine, dopo la morte di quest’ultimo nel 1700, quando aveva già 38 anni, a quella di Giovan Gioseffo Dal Sole. Intorno al 1700 realizzò un dipinto per la chiesa della Santissima Trinità di Bologna raffigurante l’Annunciazione, da ritenersi opere autografa dell’artista malgrado Gian Pietro Zanotti la considerasse realizzata in collaborazione col maestro Giovan Gioseffo. Questo foglio a matita rossa, che una scritta riferiva erroneamente a Donato Creti, costituisce disegno preparatorio per la medesima pala e rappresenta un raro esempio della produzione grafica della pittrice.

Giuseppe Maria Mitelli (Bologna 1634 – 1718), Li cinque sentimenti alla moda 
Matita rossa su carta avorio ingiallita; mm 220 x 571
Acquisizione 2013, inv. 32515

Giuseppe Maria Mitelli (Bologna 1634 – 1718), Li cinque sentimenti alla moda
Acquaforte, mm 133×528
Bologna, Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna

Li cinque sentimenti alla moda è un’acquaforte datata 1710 realizzata da Giuseppe Maria Mitelli, artista noto soprattutto come prolifico produttore di incisioni dedicate a svariati argomenti che spaziano dalla riproduzione di dipinti dell’arte bolognese, all’illustrazione di tesi universitarie, alla realizzazione di temi legati ai proverbi, alle osterie, ai cortei, alle processioni ed ai giochi.
L’inedito disegno preparatorio a matita rossa mostra il processo creativo dell’artista che, definiti i soggetti da raffigurare, ne offre una propria interpretazione scritta che sottolinea il loro contesto mondano. La tradizionale raffigurazione dei cinque sensi si anima così di un gustoso rimando alla cultura dell’epoca, a quelle attività “oziose” che tra concerti, danze, profumi, parrucche e cene poco composte dovevano far parte del vivo mondo cittadino. Ogni scena è contrassegnata dalla scritta relativa al rispettivo organo di senso, raffigurato anche in forma iconica, secondo una tipologia caratteristica dell’artista, ben noto anche come esecutore di rebus.
Presso la Pinacoteca, a fianco del disegno, viene esposta l’incisione gentilmente concessa in prestito dalle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna.

Felice Giani (San Sebastiano Curone 1758 – Roma 1823), Allegoria della guerra
Tempera su carta, mm 188×310
Acquisizione 2011, inv. 32167

Nella vasta e straordinaria decorazione di palazzo Milzetti a Faenza realizzata tra il 1802 e il 1805 da Felice Giani su commissione del conte Francesco Milzetti figura una stanza detta della Pace e della Guerra, chiamata anche di Annibale in quanto presenta al centro la raffigurazione del giovane condottiero accompagnato dal padre davanti all’altare a giurare odio eterno ai romani. Ai lati, attorniati da un vasto ornato a grottesche, compaiono due cammei con il Trionfo della pace e il Trionfo della guerra. Quest’ultima scena è quella raffigurata nel foglio, una sorta di memoria probabilmente destinata al collezionismo dell’epoca, dove Giani si diverte ad evocare il proprio cognome attraverso la scritta presente sul tempio. La pittura, quasi ad effetto di abbozzo, simula la velocità dell’invenzione e rispecchia i vivaci colori che compaiono nella volta della sala.
Il disegno integra per tecnica e tipologia la consistente raccolta di opere di Felice Giani della Pinacoteca Nazionale, composta da diversi fogli realizzati ad inchiostro, bistro o acquerello e da un taccuino disegnato a matita nera, contribuendo a testimoniare in collezione l’attività di uno dei principali protagonisti della stagione neoclassica che a palazzo Milzetti, attuale sede del Museo Nazionale dell’età neoclassica in Romagna, realizzò uno dei suoi capolavori.