La nostalgia è “canaglia” perché il richiamo a un passato a cui non si può ritornare è forte ma impraticabile, e però all’utopia, che rifiuta di appiattirsi sul presente in vista di un futuro migliore, non si può rinunciare. I due discutono senza infingimenti su ciò che è vivo e su ciò che è morto delle idee di sinistra, affinché i giovani, che oggi appaiono del tutto disinteressati alla politica, possano di nuovo essere catturati da questa passione, che per Platone era la più “nobile”.
Ma perché l’ideale platonico è tramontato? Perché la tecnica, che all’epoca di Platone era uno strumento nelle mani dell’uomo, oggi è divenuto il nostro ambiente, dove gli uomini sono ridotti a funzionari degli apparati tecnici (Heidegger dice “im-piegati (be-stellt)” ossia piegati alla razionalità degli apparati), come bene aveva previsto Hegel, e dopo di lui Marx, in quella che siamo soliti chiamare “eterogenesi dei fini”.
Col termine “tecnica” non dobbiamo intendere l’insieme delle macchine e degli strumenti che, nel loro insieme, compongono la “tecnologia”. Col termine “tecnica” dobbiamo intendere la forma più alta di razionalità che, come ci insegna la Scuola di Francoforte quando parla di “ragione strumentale”, consiste nel raggiungere il massimo degli scopi con il minimo impiego di mezzi. Si tratta di una razionalità persino superiore a quella che governa l’economia e i mercati, perché questi soffrono ancora di una passione umana che è la passione per il denaro, da cui la tecnica, anche se ancora ne dipende, ne è per sua natura esente.
Ed è proprio da un confronto con la tecnica che prende opportunamente le mosse il dialogo tra Giordano e Caldarola per discutere la sua incidenza sull’arretratezza della politica, che il filosofo Giacomo Marramao vede come un sovrano spodestato che si aggira tra le antiche mappe dello Stato e della società rese inservibili, perché più non rimandano alla legittimazione della sovranità. Nel loro dialogo Franco Giordano e Peppino Caldarola non hanno trascurato queste riflessioni, ma le hanno tenute ben presenti, per promuovere una nuova idea di politica, non appiattita sull’immediato presente regolato dalla razionalità tecnica, ma capace di immaginare un futuro che non sia di passiva acquiescenza a questo tipo di razionalità. A questo scopo occorre prendere le mosse da quello che Husserl chiama “mondo-della-vita (Lebenswelt)”, che certamente confligge con la razionalità tecnica, perché, a differenza di quest’ultima, il mondo della vita ospita una gran quantità di fattori “irrazionali” che si chiamano sentimenti, passioni, ideazioni, valori, fedi, utopie, bisogno di trascendenza da collocare non necessariamente nell’al di là, perché questi fattori sono il costituivo dell’umano, ciò di cui gli uomini sono vissuti e continueranno a vivere.
Il rifiuto a considerare la natura come semplice materia prima da utilizzare ha generato i movimenti ecologisti. Il degrado culturale, morale e politico ha promosso il movimento degli indignati che ha messo in discussione i fini dell’economia, che forse non sono anche e ineluttabilmente i nostri fini. L’esasperazione delle categorie dell’efficienza e della produttività, tipiche della razionalità tecnica, ha promosso, tra chi lavora, la tendenza a barattare una parte del salario con il tempo libero. La valutazione degli uomini a partire dalle loro prestazioni con conseguente risolvimento della loro identità nella loro funzionalità, a cui si aggiunge il clima competitivo e non più solidale nei posti di lavoro, ha prodotto un dilagare dei fenomeni depressivi, che certamente non sono fattori propulsivi per nessuna società. A ciò si aggiunge il fatto che la tecnica, che come s’è detto non conosce il progresso ma solo lo sviluppo, abolisce ogni orizzonte di senso, e non c’è uomo che possa vivere al di fuori di un percorso di sensatezza o, come dice Nichi Vendola, di qualsiasi “narrazione”, che non è una parola su cui si può fare facile ironia.
Sì, perché la tecnica, che in nome dell’efficienza e della produttività comprime il mondo della vita, nel momento in cui si propone non come uno dei tanti modi di ordinare una società, ma come in assoluto l’unico modo, in quel momento anche la tecnica diventa ideologia, la più terribile, dal momento che mette ai margini il sentimento perché irrazionale, e comprime il pensiero in quell’unica forma che è il calcolo, il far di conto. “Denken als Rechnen” diceva Heidegger, riduzione del “pensare” al puro e semplice “calcolare”, per cui non sappiamo più che cosa è vero, che cosa è giusto, che cose è bene, che cosa è bello, che cosa è sacro, ma unicamente che cosa è utile e produttivo.
Già Nietzsche avvertiva che “l’uomo è un animale non ancora stabilizzato”, e ogni tentativo di stabilizzazione, anche il più potente tra quelli apparsi nella storia, come è appunto la razionalità tecnica, non può azzerare questo impulso insopprimibile, tipico dell’uomo, che è l’andare oltre la situazione data. Alla politica raccogliere la sfida.
Questo è il messaggio che Franco Giordano e Peppino Caldarola lanciano ai giovani, perché i giovani, oltre ad essere i responsabili del futuro, sono anche i soli ancora capaci di innamorarsi della politica, se appena non si arrestano all’indignazione, ma, a partire dall’indignazione, sappiano mettere la stessa passione anche nell’ideazione di una società, in cui l’uomo possa riconoscersi ancora come uomo e non come semplice funzionario della razionalità della tecnica o della razionalità del mercato.
Franco Giordano è stato deputato e segretario nazionale di Rifondazione Comunista. Attualmente fa parte della Presidenza Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà.